Fin qui il capitolo legato agli affari. Diverso invece è il caso dei calciatori che hanno rapporti diretti con i boss. Anche i mafiosi, si sa, hanno passioni sportive.  E come tutti gli appassionati non vedono l’ora di potere chiedere una foto ai loro beniamini. In certi casi, però, quella foto ricordo diventa l’inizio di rapporti peggiori. Gli esempi si sprecano. Un caso emblematico – ricordato dalla commissione- in questo senso è quello del calciatore Fabrizio Miccoli, condannato dal tribunale di Palermo il 20 ottobre 2017 a tre anni e sei mesi per estorsione, aggravata dal metodo mafioso. Per anni Miccoli è stato fantasista, capitano, e bandiera della squadra del Palermo. E tra gli amici più stretti che si fa in Sicilia c’è Mauro Lauricella, figlio del boss mafioso della Kalsa Antonino Lauricella detto “Scintilluni”.  Un legame, quello tra Miccoli e Lauricella junior che porterà il fantasista dei rosanero addirittura a conoscere Francesco Guttadauro, nipote del boss latitante Matteo Messina Denaro. Tutti congiunti di mafiosi e come tali controllati dagli investigatori. E infatti, a un certo punto, Miccoli viene intercettato mentre con Lauricella pronuncia una frase agghiacciante: “Ci vediamo sotto l’albero di quel fango di Falcone”. Per quei fatti il fantasista chiederà scusa. Nel frattempo, però, finirà sotto processo – venendo condannato in primo grado – perché approfittando dell’amicizia di Lauricella aveva chiesto un favore particolare. Quale?  L’ex bomber rosanero avrebbe chiesto al suo amico Mauro Lauricella di recuperare 12mila euro che sarebbero stati vantati da un suo amico per una vicenda legata alla gestione della discoteca “Paparazzi” di Isola delle Femmine. “Essendo il calcio un efficace volano di consenso sociale – annota l’Antimafia – in quel periodo la frequentazione di Miccoli assicurava certamente, a livello cittadino e non solo, un sicuro prestigio e le organizzazioni criminali mafiose, dovendosi accreditare come ordinamento alternativo allo Stato, di quel consenso sociale si nutrono”.

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