In questo senso le parole dei commissari guidati da Rosy Bindi e da Marco di Lello sono nette. “Le numerose vicende richiamate nella relazione e i procedimenti penali ad esse connesse indicano come il crimine organizzato sia in grado di cogliere nel calcio e nelle attività collegate importanti opportunità, al fine di ampliare il panorama già vasto dei propri traffici illeciti, aprire nuovi canali per il riciclaggio dei capitali di illecita provenienza e, non ultimo, per perseguire strategie di acquisizione o consolidamento del consenso sociale in più o meno ampi segmenti della popolazione rappresentati dalla tifoseria della squadra di calcio oggetto di attenzione di una determinata consorteria criminale”, scrive l’Antimafia. Secondo cui, come raccontano fonti di polizia, alcune tifoserie sono formate “dal 30% di persone pregiudicate”: in pratica un tifoso su tre. “I gruppi ultras – si legge nella relazione – sono costituiti, spesso, da soggetti con gravi precedenti penali o, comunque, con storie personali contraddistinte da comportamenti aggressivi e antisociali, pronti a dare luogo a violenze, fuori dello stadio o sugli spalti, contro la tifoseria avversaria o contro le forze dell’ordine”. Ma non solo. Perché, secondo il numero uno della polizia Franco Gabrielli, “la criminalità organizzata di tipo mafioso vede nel settore calcistico un’opportunità per ampliare non solamente il campo dei traffici illeciti e dei canali per il riciclaggio dei capitali sporchi, ma anche per insinuarsi in maniera strisciante e pervasiva nel tessuto sociale”.
Mafie
Il pallone come consenso sociale - 2/9
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