Spezzare definitivamente il legame tra le mafie e la Chiesa. È l’obiettivo del Dipartimento di analisi, studi e monitoraggio dei fenomeni criminali e mafiosi “Liberare Maria dalle mafie e dal potere criminale” della Pontificia Accademia mariana internazionale. Dopo un anno di vita, l’organismo vaticano ha pubblicato il suo primo rapporto con tutte le attività messe in campo per contrastare la collusione tra alcune forme di religiosità popolare e quella che Papa Francesco ha definito la “pedagogia mafiosa”.

“Collusioni – spiegano i responsabili del Dipartimento – che, di conseguenza, coinvolgono anche la figura della Vergine Maria, la cui presenza nella religiosità popolare dei paesi di tradizione cattolica è capillare e diffusa”. Sono ancora tanti, infatti, gli inchini che si verificano durante le processioni delle statue della Madonna e dei santi patroni. Troppe le infiltrazioni mafiose all’interno delle realtà ecclesiali, nei comitati per le feste religiose e perfino nella vita liturgica e pastorale delle parrocchie italiane. Padrini di battesimi, comunioni e cresime scelti all’interno dei clan che comandano, matrimoni e funerali in grande stile come quelli organizzati dai Casamonica.

Parroci, molto spesso impreparati e anche pavidi alla don Abbondio di manzoniana memoria, non sono in grado di comprendere e contrastare efficacemente il legame tra le mafie e la Chiesa. Per questo motivo, il Dipartimento, nei suoi primi dodici mesi di vita, ha già attivato numerosi corsi online gratuiti su ‘Ndrangheta, Cosa nostra, camorra, mafie pugliesi e straniere, religiosità dei mafiosi, ecomafie, terrorismo, violenza di genere e intrafamiliare, droga, negazionismo, caporalato e tratta di esseri umani. A tenerli sono ecclesiastici, magistrati e forze dell’ordine con una partecipazione finora di oltre 350 iscritti. Un modo efficace, secondo gli organizzatori, per contribuire “alla costruzione di una cultura e pedagogia della cittadinanza, della legalità e dello sviluppo, a partire dalle sfide che ad esse pongono le mafie”.

Come ha spiegato Bergoglio, “la solitudine, le paure e l’insicurezza di tante persone, che si sentono abbandonate dal sistema, fanno sì che si vada creando un terreno fertile per le mafie. Queste infatti si impongono presentandosi come ‘protettrici’ dei dimenticati, spesso mediante vari tipi di aiuto, mentre perseguono i loro interessi criminali. C’è una pedagogia tipicamente mafiosa che, con un falso spirito comunitario, crea legami di dipendenza e di subordinazione dai quali è molto difficile liberarsi”.

Inoltre, per onorare la memoria di Rosario Livatino, il primo magistrato beato nella storia della Chiesa cattolica, e per dare seguito alla scomunica ai mafiosi che Francesco fece, nel 2014, durante la sua visita in Calabria, all’interno del Dicastero per il servizio dello sviluppo umano integrale è stato costituito un gruppo di lavoro sulla “scomunica alle mafie”. Di esso fanno parte, tra gli altri, don Luigi Ciotti, presidente di Libera, e Giuseppe Pignatone, presidente del Tribunale Vaticano.

Presentando le attività della Santa Sede nel contrasto delle mafie, Pignatone ha sottolineato che ancora oggi è forte l’intromissione dei capi clan nelle manifestazioni popolari, come le processioni patronali, “per appropriarsene”. Così come “scimmiottare i riti religiosi” e, soprattutto, “il continuo ricorso del linguaggio mafioso a riferimenti religiosi”. Pignatone ha spiegato che in Calabria “l’iniziazione della affiliazione del ‘ndranghetista viene chiamata battezzo”.

Il presidente del Tribunale Vaticano ha ricordato quando in Sicilia entrò nella casa del boss Bernardo Provenzano e contò circa 170 santini, insieme alla famosa Bibbia sottolineata e forse usata come cifrario: “I suoi pizzini si aprivano e chiudevano con frasi come ‘sia fatta la volontà di Dio’ o ‘in nome di Cristo’ e magari poi dava ordini di morte. Manifestazioni di apparente religiosità – ha affermato Pignatone – che sono sovrastrutture permanenti per camuffare la reale essenza della mafia”.

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