Neanche Hitler osò tanto. Ci pensò a lungo, ma poi non ebbe il coraggio di arrestare Pio XII durante la Seconda guerra mondiale. Anche se Pacelli aveva scritto le sue dimissioni che sarebbero diventate effettive se fosse stato arrestato. “Così – disse Pio XII – i nazisti deporteranno il cardinale Pacelli, non il Papa”. Napoleone Bonaparte, invece, il Pontefice lo arrestò davvero. Unico nella storia ad aver osato tanto. Un gesto che gli valse la definizione di “Anticristo” e che ancora oggi, a distanza di 200 anni dalla sua morte, avvenuta quando aveva solo 52 anni, il 5 maggio 1821, anima il dibattito sul suo rapporto con la Chiesa di Roma e con la fede.

Proprio in occasione di questo importante anniversario, lo studioso Luca Crippa ha pubblicato il volume Napoleone e i suoi due Papi (San Paolo) che ha il notevole pregio di aggiungere alle numerose biografie del celebre imperatore un aspetto inedito e finora trascurato, ma non di certo meno importante. L’autore parte dal famoso componimento che Alessandro Manzoni dedicò a Napoleone in occasione della sua morte per celebrarne la grandiosità. Per Crippa l’intenzione era “narrare di una conversione tardiva, ma credibile. Anzi, più in profondità: di un disegno divino di salvezza che coinvolge, secondo lui, persino l’orgoglioso dominatore in esilio, ormai scosso dai dubbi sul proprio passato”.

“Fu vera fede?”, si domanda Crippa parafrasando Manzoni. “Ma siamo prudenti, – sottolinea lo studioso – e non vogliamo decidere della ‘conversione’ in extremis né di Napoleone Bonaparte né di un qualunque altro meno celebre mortale”. L’autore ricorda che del famoso imperatore si disse “che sconfiggerlo avrebbe significato portare nel mondo un’epoca di armonia e di speranza ispirate ai valori cristiani e al Vangelo (uno dei suoi più importanti nemici, lo zar Alessandro I, lo ripeteva continuamente)”.

Tra le richieste che Napoleone fece a Pio VII, prima di arrestarlo, ci fu perfino quella di portare il numero dei porporati francesi a un terzo del Collegio cardinalizio così da influenzare l’elezione del futuro Pontefice nel successivo conclave. “Di fronte ai ripetuti rifiuti, – scrive Crippa – Napoleone si convinse che il Papa non solo gli era ostile, ma che addirittura tramasse alleanze contro la Francia e, potenzialmente, potesse persino appoggiare un colpo di Stato monarchico-borbonico in patria, nel caso che lui subisse una sconfitta”.

Fu così, ricorda lo studioso, che “il 2 febbraio 1808 ordinò al generale Miollis, comandante delle truppe di stanza in Italia, di occupare Roma, mettendo così di fatto il Papa sotto ‘custodia’ (e sorvegliando strettamente ogni sua mossa e la sua corrispondenza). Nello stesso tempo, pur potendolo fare con molta facilità, l’imperatore non procedette a deporre il Pontefice dalla sua dignità di sovrano di uno Stato indipendente, contando che questo gesto avrebbe ammorbidito l’atteggiamento della Curia nei suoi confronti”.

Crippa scrive che “il giorno stesso in cui su Castel Sant’Angelo prese a sventolare la bandiera francese al posto di quella del Papa, Pio VII scomunicò, con la bolla Quam memorandum, tutti i cattolici che avessero partecipato al sopruso ai danni del ‘patrimonio di San Pietro’, senza citare esplicitamente Napoleone, ma di fatto comprendendolo nel numero”.

Dopo la scomunica, “il comandante francese – ricorda Crippa – non attese ulteriori istruzioni dall’imperatore: fece invadere il Quirinale e prelevare il Papa e il cardinale Pacca con la forza di un drappello militare, li fece caricare su una carrozza oscurata e li fece partire per il Nord. Napoleone non aveva ordinato la deportazione, ma pensò che ormai convenisse giocare la carta della forza. I suoi successi del momento probabilmente oscurarono la fermezza del suo giudizio”.

La storia, come è noto, diede ragione al Papa. “Pio VII – conclude Crippa – governò fino al 20 agosto 1823, giorno della sua morte. Negli ultimi anni, dopo il ritorno a Roma, aveva goduto dell’immenso prestigio che gli fu assicurato dall’aver resistito a Napoleone quando questi era al massimo del suo potere. Il successore di Pietro e vicario di Cristo aveva servito la Chiesa nelle condizioni che la storia gli aveva imposto, sempre sperando che nelle cose del mondo si trovassero accordi degni della buona volontà degli uomini cui la sorte, l’abilità (e la provvidenza) assegnava poteri”.

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