E dire che fino ai primi anni ’90, don Ciccio era stato quasi ignorato dalla giustizia. Quando si parla di mafia, lo Stato sconta sempre lo stesso peccato originale: la sottovalutazione. Una continua e costante sottovalutazione. Anche con i Messina Denaro è andata così: vale sia per il padre che per il figlio. Nel 1990 è Borsellino, in quel momento procuratore capo di Marsala, a chiedere la sorveglianza speciale, il divieto di dimora e il sequestro di tutti i beni per Messina Denaro senior. In quella richiesta Borsellino segnala i rapporti tra il patriarca di Castelvetrano e Vito Guarrasi, l’avvocato dei misteri, uno che aveva cominciato al sua carriera nel 1943, a Cassibile, quando è tra gli ufficiali che assiston alla firma dell’armistizio con gli Stati Uniti. Lontano parente di Enrico Cuccia, per mezzo secolo Guarrasi è stato indicato come la mente occulta degli affari politici ed economici siciliani. Coinvolto nelle indagini sulla scomparsa del giornalista Mauro De Mauro, l’avvocato non fu mai processato: poco prima della morte fu chiamato persino a testimoniare al processo a Giulio Andreotti. È con questo tipo di personaggi che potevano vantare legami i Messina Denaro. Ma non solo: in quelle vecchie carte Borsellino racconta anche che una delle figlie del boss di Castelvetrano, Rosalia, ha sposato Filippo Guttadauro, un giovane di Brancaccio che fa parte di una famiglia conosciuta: suo fratello Giuseppe era stato pure imputato al maxiprocesso e in futuro sarà coinvolto anche nell’inchiesta su Totò Cuffaro, il governatore della Sicilia condannato per favoreggiamento. Questi elementi, però, al tribunale di Trapani non bastano. Per il vecchio Messina Denaro viene emesso un decreto di non luogo a procedere, in cui si legge – tra le altre cose – che gli “elementi forniti sono incontrollabili” mentre sulla “trasparente personalità” di Guttadauro “non si solleva alcuna ombra di dubbio se non purtroppo, che è fratello di tale Guttadauro Giuseppe, ex diffidato e sorvegliato speciale, indiziato di mafia”.

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