Si è detto che se Matteo è rimasto latitante così a lungo, forse, il merito non era solo all’efficiente rete di protezione di Cosa nostra, capace da sempre di nascondere i suoi capi per periodi di tempo molto lunghi. Questa è una storia di mafia e come in tutte le storie di mafia lo Stato ha spesso una parte delle responsabilità. A volte sono dolose, molto più spesso sono frutto del caso, della disorganizzazione, dell’inefficienza tipica della burocrazia istituzionale. Anni fa polizia e carabinieri si trovarono a seguire nello stesso momento la sorella di Matteo, senza saperlo: tra agenti e militari in incognito si rischiò quasi uno scontro a fuoco. Nel 2012 la pm Teresa Principato era convinta di avere trovato una traccia: in provincia di Agrigento c’era un mafioso, che sembrava essere in contatto col superlatitante. Principato chiese di ritardarne l’arresto, ma la procura di Palermo disse di no: il mafioso venne preso e quella traccia che poteva portare a Matteo svanì nel nulla. La vicenda creò una profonda spaccatura all’interno dell’ufficio: esposti e veleni finiti al Csm. Tutto archiviato. Senza colpevoli è finita pura un’altra indagine: quella sulla scomparsa di alcuni supporti informatici custoditi nella stanza della pm Principato. Che cosa contenevano? In due pen drive e un computer portatile c’era copia degli atti relativi a tutte le indagini sulla latitanza di Messina Denaro. Compreso un file excel in cui erano riportate tutte le utenze telefoniche dei presunti favoreggiatori, compresi alcuni insospettabili, intercettati dal 1993 in poi. In mano a chi sono finiti quei preziosi documenti? Impossibile saperlo: nel gennaio del 2021, infatti, l’indagine su quella sparizione è stata archiviata. Ignota è anche l’identità della talpa che ha consentito a Messina Denaro di conoscere l’indirizzo di Francesco Geraci. Gioielliere di Castelvetrano, suo amico d’infanzia, Geraci era uno dei fedelissimi di Matteo ai tempi delle stragi. Poi, però, si pente e diventa un collaboratore di giustizia: entra nel servizio di protezione testimoni, cambia nome e città. Tutte informazioni segrete che Messina Denaro, però, conosceva. “Io ho sempre saputo dov’era: a Bologna in via Enrico Panzacchi 14 e aveva una gioielleria, sempre a Bologna, in via XX settembre, nel centro storico”, ha raccontato dopo l’arresto. Come faceva un latitante ad avere queste informazioni? Al pm che lo interroga Messina Denaro risponde così: “Lei mi vuole portare a dire che era qualcuno dello Stato…“.

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Messina Denaro morto, l’arrivo alla clinica di Palermo nel giorno dell’arresto. L’audio dei carabinieri: “Dicci il tuo nome”

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