È un vero e proprio romanzo criminale quello del clan Strisciuglio di Bari, l’associazione mafiosa smantellata pochi giorni fa con l’operazione messa a segno dalla Squadra Mobile e dai carabinieri del Nucleo Investigativo che ha portato all’arresto di 99 persone. Una storia di sopraffazioni e violenze che racconta in modo emblematico l’ascesa del gruppo criminale che da costola del clan Capriati è diventato il più potente della “camorra pugliese”. L’epopea criminale che narra la crescita organica e territoriale è descritta nelle 1599 pagine dell’ordinanza firmata dal giudice per le indagini preliminari Giovanni Anglana: un racconto che parte dalla fine degli anni Novanta e arriva a oggi per spiegare in maniera chiara come, attraverso l’affiliazione di nuovi camorristi e le azioni di fuoco, il clan Strisciuglio abbia ottenuto il pieno controllo di una buona parte della città di Bari e di alcune zone della sua provincia. Un clan cresciuto a dismisura, come un’impresa che punta costantemente a implementare il suo raggio d’azione. Una parabola ascendente che è riuscita a superare anche gli importanti colpi inferti dalla magistratura in questi anni: nel gennaio 2006, solo per citare il più eclatante, le forze dell’ordine misero a segno l’operazione “Eclissi” che colpì 181 “proseliti del clan”.

I piani espansionistici – Negli atti della nuova inchiesta, emerge come il clan Strisciuglio, tra la fine degli anni Novanta ed i primi anni del secolo in corso, abbia “acquisito posizioni dominanti sul territorio del capoluogo pugliese, controllato grazie anche ad una suddivisione in ‘articolazioni’ del clan dipendenti da vertici unitari, espandendosi anche verso alcuni comuni della provincia”. Eppure il gruppo guidato da Domenico Strisciuglio nacque come una piccola cellula del clan Capriati, ma pian piano “è riuscito a concretizzare un piano espansionistico talmente efficace da diventare il più esteso e tra i più temuti clan camorristici di Bari”. Al boss, detenuto dal 1999 al 41 bis, il regime di carcere duro, solo qualche mese fa, il Tribunale di sorveglianza ha concesso di poter ascoltare musica in cella nonostante la netta opposizione della direzione carceraria.

Lidi e slot machine, così il clan si è preso Bari – E se 40 anni fa il business era quello del contrabbando di sigarette, oggi il clan macina denaro con il narcotraffico e le estorsioni, ma non solo. “I quartieri ove è attivo il clan Strisciuglio – si legge nell’ordinanza – sono tuttora caratterizzati da un asfissiante controllo del territorio che si manifesta attraverso le estorsioni esercitate in danno di numerosi piccoli imprenditori ed artigiani che hanno le proprie attività ed insediamenti produttivi in quelle aree: cantieri edili, commercianti, lidi balneari, attività di ristorazione; eventi ludici e concertistici”. Ma gli Strisciuglio, secondo l’accusa, hanno interessi anche nel mercato del gioco attraverso l’installazione di slot machine e videolottery. E un pezzo alla volta gli Strisciuglio hanno superato i loro vecchi padrini e si sono presi tutto. Negli anni hanno visto disfarsi clan come i Mercante, Monti, hanno visto i Capriati ridimensionarsi sotto i colpi della magistratura. Non hanno avuto remore a farsi strada con le armi.

Il sangue per prendersi le piazze di spaccio – Luigi e Antonio Luisi, padre e figlio, sono caduti sotto i colpi dei killer in due agguati organizzati a distanza di un anno. Il 20 aprile 2015 muore Antonio, mentre Luigi, esponente del clan Mercante e vero bersaglio dei sicari, resta ferito. Il giovane Antonio fa da scudo al padre e perde la vita. Il clan, però, non archivia la pratica: Luigi Luisi deve morire. E così il 31 ottobre 2016 un nuovo commando spara nuovamente e questa volta per Luigi Luisi non c’è scampo. Dopo qualche settimana in coma, muore. E nel tempo il clan Strisciuglio ha saputo cogliere le occasioni al volo per accaparrarsi nuove piazze di spaccio. “Le mire espansionistiche del clan Strisciuglio nei confronti di nuove ‘piazze’, ove operare con i propri traffici illeciti e quindi aumentare i relativi introiti, è sempre stata la linea d’azione principale che caratterizza la predetta organizzazione la quale, originatasi nella Città Vecchia di Bari, si è sviluppata con inarrestabile sete di conquista anche nei quartieri Carbonara, San Girolamo e Libertà”.

Le giovani leve e la “fama” del gruppo – Ma per gestire un territorio sempre più grande occorrono uomini. Molti uomini. Ed è per questo che i vertici del gruppo hanno stretto alleanze e “comparanze”, ma soprattutto hanno affiliato tante, tantissime giovani leve. “La fama del clan – scrive il giudice Anglano – diventa a sua volta la causa che determina un ulteriore impulso verso nuove affiliazioni: si aderisce in ragione della fama” e “la maggiore fama del clan ha reso più fondato l’affidamento nel clan stesso e ha offerto, ovviamente, maggiori possibilità di conseguire ulteriori spazi di operatività per la commissione di ulteriori reati”. Una sorta di corrispondenza biunivoca che affascina ancora i giovani baresi, alcuni dei quali cresciuti nelle leggende deviate dei boss, uomini un grado di decidere il loro futuro con una sola parola. “Dipende tutto dal boss a dire ‘Sì, ti voglio affiliare’ o ‘Non ti voglio affiliare’ – ha raccontato ai magistrati uno dei collaboratori di giustizia – Dal momento che lui dice sì, poi succede che fanno il rito, abbiamo fatto il rito, come si fa tutti quanti, il sabato, chi di giovedì, dipende dai gradi che uno ha”.

Il “battesimo” e i riti di affiliazione – Dalle attività condotte dai poliziotti guidati dal vice questore Filippo Portoghese e dai carabinieri agli ordini tenente colonnello Vincenzo Di Stefano, è “la struttura particolare del clan Strisciuglio, ramificata nei diversi territori cittadini – attraverso le cosiddette ‘articolazioni’ – e della provincia, caratterizzata dal ricorso ai rituali di affiliazione, promossi, diretti ed organizzati dagli stessi componenti che all’interno ricoprono ruoli di vertice, a favore di altri soggetti, attraverso una cerimonia solenne denominata ‘battesimo’ che conferiva la ‘qualifica di mafioso’ necessaria per agire nell’ambito del sodalizio con pienezza di diritti e doveri, provvedendo altresì alle ‘promozioni’ ai livelli superiori attraverso cerimonie liturgiche denominate ‘movimenti’”. Quelle cerimonie si svolgevano con esponenti del clan appartenenti ad “articolazioni territoriali diverse”: un modo per “salvaguardare la matrice unitaria di un’organizzazione molto numerosa”. E che il clan si muovesse all’unisono emerge anche a gennaio 2016 quando nel carcere di Bari scoppia un maxi rissa che coinvolge uomini del gruppo Strisciuglio e affiliati al clan Misceo.

La lotta in carcere e le “sentenze di morte” – I due gruppi sono formalmente alleati nel quartiere San Paolo e nel territorio, ma il clan Strisciuglio non riesce a placare il desiderio di conquistare nuovi mercati e così, lo sgarro di un detenuto al responsabile della sezione carceraria del clan, diventa il pretesto per lo scontro. Oltre 40 persone vengono coinvolte nella battaglia che alla fine segna, nonostante i danni riportati dai suoi uomini in carcere, il predominio degli Strisciuglio che acquisiscono le piazze di Palo del Colle. Ma quel giorno succede anche di più. I detenuti del clan scrivono lettere ai sodali che sono in libertà e a quelli detenuti nelle carceri di Lecce e Taranto: i Misceo devono essere perseguitati ovunque si trovino. Gli investigatori sequestrano la posta e ritrovano veri e propri mandati di omicidio: “U’ frat’, ha detto l’amico, se veramente lo vuoi bene, fuori sta Franco ‘Salziz’, dagli ciò che si merita, agli amici suoi ci abbiamo pensato noi qui e li abbiamo fatti scappare alla 4 sezione con gli infami, però abbiamo avuto un piccolo danno, perciò contiamo su di te”.

I racconti dei collaboratori di giustizia – Il destinatario della lettera e dell’ordine è Michele Miccoli, nel frattempo diventato un collaboratore di giustizia. Ai magistrati ha confessato che sì, in passato lui quell’ordine lo avrebbe eseguito: “io ero ‘U’ Chiod’, ecco perché contavano su di me. Basta che tu hai detto “Il Chiodo”, hai detto tutto, perché “Il Chiodo” spingeva, sparavo! Sparavo e per di più, purtroppo, ammazzavo”. Ma nel tempo anche nel clan Strisciuglio tante cose sono cambiate. Il clan così numeroso non può garantire l’assistenza a tutti in modo convincente e qualcosa le crepe del pentitismo sono aumentate a dismisura. “Il passato – ha spiegato Miccoli ai magistrati – non si può cancellare. Non si può cancellare, non posso dimenticare a chi ho fatto male, a chi ho tolto un padre dai propri figli, questo non lo posso dimenticare (…) se oggi per quelle persone che io ho ammazzato potevo dare la mia vita, per farli ritornare in vita a loro, l’avrei fatto. E l’avrei fatto… non perché l’avrei fatto giusto per, l’avrei fatto veramente, perché io ho capito i valori della vita. L’amore che mi ha fatto capire tante cose, mia moglie che è una brava ragazza, la nascita di mia figlia. La fede l’ho sempre avuta, ho avuto un dono da Dio, che mi ha davo una brava ragazza e mi ha dato una bella figlia e voglio rimediare, tante cose!”. Le sue dichiarazioni hanno contributo, insieme a quelle di decine di altri collaboratori e ai riscontri individuati dagli investigatori, a colpire duramente il clan e forse a scrivere il capitolo finale di questo romanzo della camorra pugliese.

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