Come parlano oggi le mafie? Come riescono a mandare messaggi all’interno e all’esterno del carcere? Usano le rime di certe canzoni? I social network? La risposta è “può darsi” e abbondantemente. Le mafie sono liquide, si evolvono e soprattutto si adattano ai tempi e ai nuovi mezzi di comunicazione. L’importante è che i messaggi vadano a “buon fine” e, a riprova di ciò, ci sono purtroppo numerosi esempi. Pensiamo ai casi eclatanti come le esequie di Vittorio Casamonica o le processioni religiose con “soste” davanti alla casa del padrino di turno. Una deriva inaccettabile, che negli ultimi tempi ha trovato nuova linfa nei social network e in alcune canzoni.

Più recentemente, lo scorso 27 febbraio veniva pubblicato su Youtube il video di una canzone rap, girato ai “Palazzoni”, come tutti chiamano le case popolari nel quartiere Q4 a Latina. Nella clip si vedono diversi ragazzi, giovanissimi, alcuni con il volto coperto da passamontagna. Le parole corrono veloci su immagini inequivocabili: oro e soldi in quantità, contanti spartiti come avviene nei clan al termine di rapine, estorsioni o spaccio di droga. Più che finzione, gli investigatori ritengono che si tratti di un “filmato di solidarietà” dopo gli arresti avvenuti pochi giorni prima nell’ambito dell’operazione “Reset” che ha colpito la famiglia Travali, che gestiva insieme ai Di Silvio il traffico di droga attraverso una fitta rete di pusher di fiducia legati al clan criminale che domina su Roma e Provincia.

Lo scopo era mandare un messaggio “di solidarietà” ai fratelli Travali di Latina, uno dei quali ritenuto numero due del clan Di Silvio, coinvolgendo giovani reclute già indirizzate verso un futuro criminale. Ed ancora è emerso che, in alcuni casi, le foto di detenuti al regime speciale separato di 41 bis, quindi per mafia, a cui è concesso farsi una foto una volta all’anno, vengono postate su canali social come TikTok da parte dei familiari. A voler forse comunicare che “andrà tutto bene” visti i tempi anche di cambiamento normativo per i detenuti mafiosi.

Sempre recentemente è bene, per non dire male, ricordare, la cantante neomelodica calabrese Teresa Merante i cui video su YouTube raggiungono oltre 3 milioni di visualizzazioni. Non c’è fine al peggio, o meglio al peggio non c’è mai limite, soprattutto se si legge il testo delle sue canzoni. “Spara alla Polizia, quella brutta compagnia”, “non abbiate paura”, i poliziotti “sono solo quattro pezzenti”. Poi sui giudici Falcone e Borsellino nella canzone dedicata a Riina: “Due giudici gli erano contro ed arrivò per loro il giorno. Li fece uccidere senza pietà”. Ed ancora: “Viva i latitanti” sono “omini d’altri tempi”.

Di esempi simili cominciano ad essercene troppi ed è ora di intervenire. È fondamentale e non più rinviabile una presa di posizione forte della politica e dello Stato, e per questo ho depositato una proposta di legge per prevedere l’introduzione dell’aggravante dell’istigazione o dell’apologia del delitto di associazione di tipo mafioso. L’istigazione a delinquere nel nostro ordinamento è disciplinata dall’Articolo 414 del codice penale, il quale prevede un aggravante se l’istigazione o l’apologia riguarda delitti di terrorismo, mentre con la mia proposta di legge si prevede un’aggravante specifica proprio per chi istiga alla mafia. I due piani vanno tenuti separati, soprattutto per il valore simbolico che tutto questo può assumere.

La proposta si compone di due articoli. Il primo stabilisce che la pena è aumentata fino a due terzi “se il fatto è commesso durante o mediante spettacoli, manifestazioni o trasmissioni pubbliche o aperte al pubblico ovvero se il fatto è commesso attraverso strumenti informatici o telematici”. E, inoltre, che “non possono essere invocate, a esimente, ragioni o finalità di carattere artistico, letterario, storico o di costume”.

L’articolo 2 prevede, invece, che quando il reato viene commesso “mediante l’utilizzo di social network ovvero mediante emittenti radio o televisive o per mezzo della stampa, il soggetto responsabile della divulgazione del contenuto non conforme al divieto di apologia sancito dal medesimo comma è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da 5000 a 10000 euro e con l’obbligo di rettifica”.

La mafia si nutre di messaggi e certi messaggi vanno fermati qualunque sia il canale di cui si servono. È, infatti, intollerabile che certi boss o certi stili di vita vengano lodati e addirittura proposti a modello. L’obiettivo della proposta di legge è proprio quello di responsabilizzare tutti gli operatori della comunicazione, nessuno escluso, perché ancora oggi il fenomeno mafioso non viene preso con la dovuta serietà nemmeno a livello di istituzioni e di enti locali e il contrasto deve partire dal linguaggio. Anche tenuto conto del fatto che messaggi come quelli veicolati, ad esempio dal rap o dalla canzone neomelodica, entrano non solo nelle periferie ma anche nelle carceri, dove, non lo dimentichiamo, sono tanti i giovani al 41 bis.

Lo dobbiamo a quanti hanno sacrificato la loro vita nella lotta alla criminalità organizzata e a quanti, Forze dell’ordine, magistrati, giornalisti, ancora combattono in prima linea.

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