Arnaldo La Barbera

Dichiarazioni che – dopo la sentenza del Quater – rilanciano l’interrogativo principale di questa storia nera: chi e perché torturava Scarantino con il fine di farlo diventare un falso pentito?  Mario Bo e Vincenzo Ricciardi sono due dei funzionari di polizia che gestirono la sua. Sono stati a lungo indagati e poi archiviati per lo sviamento delle indagini insieme al loro collega Salvatore La Barbera. Citati per ben due volte a testimoniare al processo Borsellino Quater, la prima volta si sono avvalsi della facoltà di non rispondere, visto che erano ancora indagati. La seconda, invece, sono stati autori di una serie di dichiarazioni talmente piene di amnesie che persino il pm Stefano Luciani ha manifestato in aula la sua insofferenza: “Trovo inaccettabile che funzionari dello Stato vengano in aula a dire una fila interminabile di non ricordo”. Oltre a Bo, Ricciardi e La Barbera, la procura di Caltanissetta ha indagato – l’inchiesta è ancora in corso – anche altri sei sottufficiali di polizia accusati di aver “vestito il pupo”, preparato cioè Scarantino ai vari interrogatori, in modo che il suo status di collaboratore venisse avvalorato dalle dichiarazioni rese davanti ai pm.

Tutti gli investigatori hanno sempre negato con forza le accuse di Scarantino. All’epoca erano tutti giovani investigatori guidati da un esperto superiore: si chiamava Arnaldo La Barbera e su di lui si sono concentrati negli anni i maggiori sospetti sulla genesi del depistaggio di via d’Amelio. Ex capo della squadra mobile di Palermo, poi promosso questore e prefetto, quindi a capo dell’Ufficio centrale per le operazioni speciali, La Barbera concluderà la sua carriera con l’irruzione alla scuola Diaz di Genova durante il G8 del 2001. Non avrà il tempo di essere processato né per quel clamoroso pestaggio e nemmeno per altro dato che morirà nel 2002 per un tumore al cervello. 

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