“Umanamente è una notizia che mi addolora, ma questa è la legge. Una legge che peraltro ha voluto mio fratello e quindi va rispettata”. Maria Falcone non cede all’emotività nel commentare la scarcerazione per fine pena di Giovanni Brusca, il boss di Cosa Nostra che premette il telecomando nella strage di Capaci. Entrato in carcere 25 anni fa, il capomafia ha lasciato il penitenziario di Rebibbia, a Roma, lunedì 31 maggio. Sarà sottoposto a quattro anni di libertà vigilata, come ha deciso la Corte d’Appello di Milano. “Mi auguro solo che magistratura e le forze dell’ordine vigilino con estrema attenzione – fa sapere la sorella del giudice ucciso nel 1992 – in modo da scongiurare il pericolo che torni a delinquere, visto che stiamo parlando di un soggetto che ha avuto un percorso di collaborazione con la giustizia assai tortuoso“. “Tortuoso” perché la stessa magistratura, spiega, “in più occasioni ha espresso dubbi sulla completezza delle sue rivelazioni, soprattutto quelle relative al patrimonio che, probabilmente, non è stato tutto confiscato: non è più il tempo di mezze verità. Sarebbe un insulto a Giovanni, Francesca, Vito, Antonio e Rocco che un uomo che si è macchiato di crimini orribili possa tornare libero a godere di ricchezze sporche di sangue“.

Borsellino: “La legge si accetta anche quando è duro farlo” – All’AdnKronos ha detto la propria anche Salvatore Borsellino, attivista e fratello di Paolo, il giudice intimo amico di Falcone e ucciso poche settimane dopo di lui. “La liberazione di Brusca, che per me avrebbe dovuto finire i suoi giorni in cella, è una cosa che umanamente ripugna. Però, quella dello Stato contro la mafia è, o almeno dovrebbe essere, una guerra e in guerra è necessario anche accettare delle cose che ripugnano. Bisogna accettare la legge anche quando è duro farlo, come in questo caso”, spiega il fondatore del Movimento agende rosse. Ricordando, anche lui, che “questa legislazione premiale per i collaboratori di giustizia fa parte di un pacchetto voluto da un grande stratega, Giovanni Falcone, per combattere la mafia. Dentro ci sono l’ergastolo ostativo, il 41 bis. Va considerata nella sua interezza ed è indispensabile se si vuole veramente vincere questa guerra contro la criminalità organizzata”. L’alternativa, sottolinea, “sarebbe stato vedere tra cinque anni questa persona libera senza neppure aver collaborato con la giustizia e senza aver permesso di assicurare alla giustizia tanti altri criminali come lui”. Anche se, chiarisce, “non credo si sia veramente pentito, come invece ha fatto Gaspare Mutolo, assassino anche lui, che ha ucciso, strangolandole, 50 persone a mani nude, ma che oggi penso sia una persona veramente cambiata. Di Brusca non ho questa impressione. Non ha raccontato neanche tutto quello che sa e che avrebbe potuto dire – conclude -, sicuramente, però, quello che ha detto è stato tanto”.

Letta: “Pugno nello stomaco”, Meloni: “Vergogna per l’Italia” – Dal mondo della politica, invece, piovono reazioni indignate. Il segretario del Partito democratico, Enrico Letta, intervistato su Rtl 102.5 ha definito l’uscita dal carcere di Brusca “un pugno nello stomaco, che lascia senza respiro e ti chiedi come sia possibile”. “L’idea che un personaggio del genere sia di nuovo in libertà è inaccettabile, è un affronto per le vittime, per i caduti contro la mafia e per tutti i servitori dello Stato che ogni giorno sono in prima linea contro la criminalità organizzata. 25 anni di carcere sono troppo pochi per quello che ha fatto. È una sconfitta per tutti, una vergogna per l’Italia intera”, attacca la leader di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni. Mentre per il coordinatore nazionale di Forza Italia Antonio Tajani “è impossibile credere che un criminale come Brusca possa meritare qualsiasi beneficio. La sua uscita dal carcere fa venire i brividi. Questa non è giustizia giusta. Vicino alle famiglie delle vittime dei suoi efferati omicidi di mafia”.

Salvini e Musumeci: “Cambiare la legge” – Matteo Salvini, ospite a Mattino Cinque, argomenta che “con tutto il rispetto per le leggi, la scarcerazione di Giovanni Brusca è una schifezza. Se è uscito di carcere significa che c’erano i requisiti, ma allora bisogna cambiare la legge. Una persona che ha 100 omicidi sulle spalle, che ha sciolto un bambino nell’acido, che ha schiacciato il telecomando che ha ucciso Falcone e la sua scorta è una bestia. Per quanto mi riguarda non doveva uscire di galera. Se c’è l’ergastolo e non lo dai a un personaggio di questo genere, a chi lo dai l’ergastolo?”. E qualche ora dopo, su Facebook, ribadisce: “Va cambiata la norma, è un’uscita imbarazzante, vergognosa, diseducativa”. E torna sul tema anche a margine della presentazione dei referendum sulla giustizia promossi insieme ai Radicali: “Che una persona ha ammazzato cento persone possa passeggiare per Roma, mi sembra figlio di una legge sbagliata. Questo va cambiato. Noi presentiamo sei referendum, ovviamente non possiamo presentarne 66, sennò la gente passa il tempo a firmare. Questo referendum è un inizio”. Chiede di cambiare la normativa anche il presidente della Regione Sicilia, Nello Musumeci: “Se una norma è palesemente sbagliata va cambiata. Magari non potrà più servire per Brusca ma servirà almeno ad evitare un altro caso simile“, dice.

Grasso: “Con lui lo Stato ha vinto tre volte” – “Non c’è nessuna forma di buonismo o perdono da parte mia nei confronti di Giovanni Brusca: oltre a tutto ciò che sapete, agli omicidi e alle stragi in cui ho perso colleghi e amici, avrei anche motivi strettamente personali per serbare rancore. Lui e altri collaboratori hanno raccontato, tra gli altri, due episodi che mi riguardarono direttamente: l’organizzazione di un attentato nell’autunno del 1993 che doveva farmi saltare in aria mentre andavo a trovare mia suocera a Monreale e la pianificazione del rapimento di mio figlio”, scrive su Facebook il senatore di Leu e ex procuratore nazionale antimafia Pietro Grasso. “Il dolore e la rabbia delle vittime e dei loro familiari – aggiunge – lo comprendo e lo rispetto nel profondo. Eppure non vedo scandalo nella notizia di ieri, peraltro nota e attesa da molti anni. Con Brusca, infatti, lo Stato ha vinto non una ma tre volte. La prima quando lo ha arrestato, perchè era e resta uno dei peggiori criminali della nostra storia per numero di reati e ferocia. La seconda quando lo ha convinto a collaborare: le sue dichiarazioni hanno reso possibili processi e condanne e hanno fatto emergere pezzi di verità fondamentali sugli anni in cui Cosa nostra ha attaccato frontalmente lo Stato. La terza ieri, quando ne ha disposto la liberazione dopo 25 anni di carcere, rispettando l’impegno preso con lui e mandando un segnale potentissimo a tutti i mafiosi che sono rinchiusi in cella e la libertà, se non collaborarono, non la vedranno mai”.

Il padre del piccolo Giuseppe: “Mi auguro di non incontrarlo mai” – Al corriere.it invece ha parlato Santino Di Matteo, il pentito vittima dell’atroce vendetta di Brusca, che sequestrò e uccise, facendolo sciogliere nell’acido, suo figlio Giuseppe di 13 anni. “La legge non può essere uguale per questa gente. Brusca non merita niente. Oltre mio figlio, ha pure ucciso una ragazza incinta di 23 anni, Antonella Bonomo, dopo avere torturato il fidanzato. Strangolata, senza motivo, senza che sapesse niente di affari e cosacce loro. Questa gente non fa parte dell’umanità“, ha detto. “Il suo parrino, Riina, è morto in carcere. E così doveva andare per Brusca. Tu hai fatto cose atroci. Statti tranquillo, dentro. Ti diamo qualcosa, ma non puoi uscire. Perché se esce, che giustizia è? Se lo dico io, forse vale poco, ma dovrebbero essere tanti a ribellarsi. Invece, so come finirà: giornali e tv ne parleranno per due giorni, poi il silenzio trionferà e quel mascalzone si godrà la libertà. Brusca conosceva Giuseppe, mio figlio, da bambino. Ci giocava insieme con la Playstation. Eppure l’ha fatto sciogliere nell’acido. E questo orrore si paga in vent’anni? Io non posso piangere nemmeno su una tomba e lui lo immagino pronto a farsi una passeggiata. Magari ad Altofonte. O in un caffè davanti al Teatro Massimo di Palermo. Mi auguro di non incontrarlo mai, come chiedo al Signore. Se dovesse succedere, non so che cosa potrebbe accadere”.

Nel pomeriggio all’Ansa parla – attraverso il suo legale Monica Genovese – anche la madre di Giuseppe, Franca Castellese. “Rispettiamo le leggi e le sentenze dello Stato, ma Giovanni Brusca non potrò mai perdonarlo. Mi ha ucciso il figlio che conosceva bene e con cui ha giocato a casa. Non c’è mai stata una forma di pentimento pubblico per quello che ha fatto. Durante i processi Brusca non ha mai chiesto scusa alla famiglia per un delitto che non è solo un omicidio di mafia ma un crimine orrendo. Nel mio cuore come posso perdonarlo?”.

L’agente che lo catturò: “Era inerme, un piccolo uomo” – “Fui il primo a entrare in quella villetta. Scavalcai una finestra al piano terra e me lo trovai davanti in cucina”. A parlare all’AdnKronos è Luciano Traina, ispettore della polizia in pensione, fratello di Claudio, uno degli agenti di scorta morti nell’attentato di via d’Amelio. Nel maggio del 1996 partecipò al blitz – coordinato all’allora questore di Palermo, Arnaldo La Barbera – che portò all’arresto di Giovanni Brusca in contrada Cannatello, ad Agrigento, dove si nascondeva nell’abitazione di un fiancheggiatore. “Era scalzo, in pantaloncini e a torso nudo – racconta – con un braccio appoggiato al frigorifero, in una mano teneva il telefono. Mi aspettavo un uomo imponente, invece… un omuncolo. Mi ha fatto solo schifo. Ci siamo guardati negli occhi, increduli entrambi. Gli ho puntato la pistola, poi i colleghi hanno fatto irruzione. Lui ha capito che era circondato e non ha opposto resistenza. Mi distaccarono volutamente in quella squadra: forse Brusca non doveva essere catturato vivo e qualcuno pensò che trovandomi davanti a lui, magari in preda alla rabbia, mi sarei tolto un sassolino dalla scarpa, sparandogli. Si sbagliarono“. Alla domanda se abbia pensato di ucciderlo, risponde: “Se avesse fatto un gesto inconsulto, se la mia vita o quella dei miei colleghi fosse stata in pericolo, non ci avrei pensato due volte, ma davanti a una persona inerme non avrei mai potuto farlo. Era inerme, un piccolo uomo…“. E sulla liberazione commenta: “Non sono certo a favore della pena di morte, ma penso che 25 anni siano davvero poca cosa a fronte degli omicidi di cui si è macchiato. Lui torna libero, noi, invece, dovremo per tutta la vita fare i conti con l’ergastolo del dolore“.

Paparcuri: “Da buon soldato, prendo atto a malincuore” – Sulla stessa linea di quelle di Maria Falcone e Salvatore Borsellino le parole dell’ex procuratore aggiunto di Palermo Antonio Ingroia, raggiunto dall’AdnKronos. “È comprensibile che possa fare impressione che l’uomo che ha ucciso Giovanni Falcone ed è stato il responsabile della morte orribile del piccolo Giuseppe Di Matteo possa tornare in libertà, ma un conto è la condanna morale, un conto quello che prevede l’ordinamento giuridico. E va accettato”, spiega. L’ex autista del giudice Rocco Chinnici, Giovanni Paparcuri – uno dei più stretti collaboratori di Falcone – ribadisce di non aver mai creduto al pentimento di Brusca. “E mai ci crederò”, dice. “Al di là del coinvolgimento personale nella strage Chinnici, l’avrei fatto marcire in galera per tutta la vita per gli innumerevoli morti che ha sulla coscienza. Ma essendo in uno Stato di diritto – riconosce – e se la legge prevede che a questi assassini poi divenuti collaboratori spettino dei benefici, da buon soldato, ma a malincuore ne prendo atto e me ne faccio una ragione, anche se è molta dura… durissima”. Più aspro il commento di Tina Montinaro, vedova di Antonio, il caposcorta di Falcone ucciso a Capaci a 30 anni. “Se sapessi a chi chiederlo farei una sola domanda. Perché pochi giorni dopo il 23 maggio? Perché le più alte cariche dello Stato sono venute a Palermo a commemorare Giovanni Falcone e mio marito, se poi la scelta già si sapeva che sarebbe stata questa? È la cosa che fa più male, si ricordano di quegli uomini valorosi ma chi li ha uccisi sta fuori“, ha dichiarato a LaPresse.

Giovanni Montinaro: “Non ha mantenuto la parola, non ha dignità” – E suo figlio Giovanni, chiamato così in onore del giudice ucciso, che il giorno della strage di Capaci aveva appena 21 mesi: “Sapevamo che sarebbe successo, non è una sorpresa, non è un fulmine a ciel sereno, è la triste realtà. Il nostro Paese è sceso a patti con uno dei criminali più efferati di sempre, uno di quelli che neanche ricordano il numero preciso delle proprie vittime. Questo non solo ci rattrista ma ci dà anche da pensare. Perché si giustifica la scarcerazione di Giovanni Brusca nascondendosi dietro il metodo del dottor Falcone, dietro le leggi da lui volute”, dice all’AdnKronos. “Dimentichiamo – spiega – che il dottor Falcone pretendeva la verità assoluta, la pena per coloro che collaboravano solo in parte era la perdita dei privilegi. Lo Stato deve mantenere la propria parola, ma viste le innumerevoli vicende giudiziarie legate alle stragi viene da pensare se quel tumore dalle sembianze umane abbia mantenuto la propria, di parola. Pretendere un gesto così dignitoso, come rispettare la parola data, da coloro che non hanno dignità è già un sottovalutare il nemico”, dice. “Mi auguro solamente che Brusca venga mandato lontano, lontano dalla mia Sicilia: per sfregio ai siciliani, troppo spesso carenti di coraggio, andrebbe portato qui, d’altronde se non scendono in piazza per una cosa del genere significa che si adatterebbero a convivere con questo subumano. Ma questo non dovrà accadere, perché fra tutti questi siciliani, ci siamo noi, che lo siamo per adozione, ma siamo comunque più siciliani di tutti gli altri, perché questa terra si è macchiata del sangue del mio sangue, perché questa terra è terra di lotta anche grazie a mio padre”. E proprio Antonio Montinaro, dice Giovanni, “starà ridendo, ha sempre fatto buon viso a cattivo gioco, ma quando ci rincontreremo gli chiederò scusa per certe mancanze, perché io sono parte dello Stato e accetto che il paese mantenga la parola, ci dovevamo accertare che il nemico facesse lo stesso…“.

La vedova Schifani: “Così si dimentica ciò che abbiamo passato” – “Che Stato è questo che celebra il 23 maggio con il presidente della Repubblica a Palermo e, otto giorni dopo, manda a casa uno che fa saltare un’autostrada o fa sciogliere nell’acido un bambino per vendetta contro un pentito? È un regalo a Falcone? Il regalo di maggio?”. Lo dice Rosaria Schifani, la vedova di Vito – uno dei tre agenti di scorta morti nella strage di Capaci – commentando la scarcerazione di Brusca in un’intervista al Corriere della Sera. È lei che ai funerali pronunciò il celebre appello ai capimafia in cui chiedeva di inginocchiarsi per ottenere perdono. “Così si dimentica tutto quello che noi abbiamo passato, si affievolisce il ricordo dei drammi vissuti, il dolore diventa solo un fatto privato, non la leva per alimentare la crescita di un impegno civile”, dice. All’osservazione che Brusca ha collaborato con i magistrati, replica: “E se lo tengano stretto da qualche parte, ma non lo restituiscano alla comunità civile, come sto ripetendo a mia figlia Erika, 21 anni, nata dopo che a fatica ho tentato di ricostruire la mia vita. Studia Giurisprudenza, mi guarda inorridita e non so che cosa dirle, come spiegarglielo”, si sfoga.

Morra: “Può tornare subito a fare il boss” – Il Presidente della Commissione parlamentare antimafia, Nicola Morra, avverte che il boss “a 64 anni ha la capacità di tornare a essere immediatamente efficiente, vero è che resta in libertà vigilata per quattro anni, ma ricordo che ci sono 70enni che continuano a guidare i sodalizi mafiosi”. E aggiunge: “Le parole di Tina Montinaro, a mio avviso, conservano un grumo di verità, quando evoca l’ipocrisia che accompagna tante celebrazioni ufficiali per il 23 maggio o il 19 luglio”. “Non sono indignato per la scarcerazione di Brusca, un mafioso che ha scontato 25 anni di carcere, che ha collaborato con la giustizia, sono indignato perché ancora dopo 29 anni non conosciamo le verità su Capaci, via D’Amelio su ciò che c’è stato oltre alla mafia”, è invece il parere di Claudio Fava, presidente della commissione antimafia dell’Assemblea regionale siciliana. “Per 17 anni abbiamo considerato i depistaggi sulle stragi come semplici distrazioni e abbiamo accettato verità di comodo confezionate da magistrati, forze dell’ordine e servizi di intelligence. Certo Brusca avrebbe potuto dire molto di più di quanto ha detto, avrebbe potuto contribuire molto di più per arrivare alla verità di quella stagione, di certo ora non lo farà più”.

I familiari delle vittime: “Senza collaboratori non ci sarebbero state condanne” – L’Associazione tra i familiari delle vittime della strage di via dei Georgofili del 27 maggio 1993 a Firenze appresa oggi la notizia della scarcerazione di Giovanni Brusca per fine pena dopo 26 anni di carcere, esprime, a livello umano, sorpresa e disappunto ma allo stesso tempo, a livello razionale, l’Associazione è altresì consapevole che ciò è frutto di una legge dello Stato voluta da Falcone per la lotta alla mafia, norma opportuna ed efficace che ha incentivato e favorito le collaborazioni giudiziarie, permettendo così ai collaboratori di giustizia di fornire un contributo essenziale all’accertamento della verità sulle stragi del 1992-1993. “Moralmente, da vittime, sapere della scarcerazione di un brutale assassino mafioso ci indigna – commenta il Presidente dell’Associazione Luigi Dainelli – ma sappiamo bene anche che senza collaboratori non avremmo avuto a Firenze tre sentenze di condanna in tre processi per i vari organizzatori ed esecutori delle stragi 1993 tra cui la nostra, in via dei Georgofili a Firenze”.

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