Ha proiettato la sua ombra sui delitti più misteriosi compiuti nella Palermo delle stragi. Compariva e scompariva come un lampo, per poi svanire definitivamente e lasciare traccia di sé soltanto dentro ai verbali di collaboratori e testimoni. Era un fantasma, un uomo taciturno con la faccia butterata, orribile, mostruosa, sempre presente quando c’era un omicidio delicato da compiere: quello eccellente del commissario Ninni Cassarà, quello inspiegabile di Claudio Domino, ammazzato a 11 anni senza un movente. E poi il fallito attentato all’Addaura contro Giovanni Falcone: si allunga fino a lì l’ombra del killer col tesserino dei servizi in tasca, uno dei tanti uomini cerniera tra Cosa nostra e Stato.

Di lui i pentiti hanno raccontato cose di questo tenore: “Io credo che il personaggio con il volto sfregiato sia molto pericoloso. È un cane, sto parlando di un uomo fuori dalle regole“. E ancora: “C’è un uomo molto brutto che ha contatti con la ’ndrangheta e con Cosa nostra, ha il viso sfigurato, è un ex poliziotto passato ai servizi segreti”. Per anni lo hanno chiamato semplicemente così: Faccia da mostro. Poi nel 2007 arrivano un nome e un cognome: Giovanni Aiello, fino al 1977 poliziotto della squadra mobile di Palermo. Quella cicatrice sulla guancia se l’è fatta con una fucilata, in Sardegna a fine anni Sessanta. La sua foto viene mostrata i pentiti: “È lui”, dicono. Vincenzo Agostino, il padre dell’agente di polizia assassinato nel 1989 insieme alla giovane moglie, lo riconosce in un confronto all’americana: è lo stesso uomo che era venuto a cercare suo figlio, poco prima dell’omicidio. Poi, nel 2017, Aiello muore: da solo, in una spiaggia della Calabria, d’infarto. A Faccia da Mostro, Lirio Abbate, ha dedicato il suo ultimo libro uscito per Rizzoli. Il vicedirettore dell’Espresso, esperto giornalista investigativo su fatti di mafia, si è messo sulle tracce di Aiello. Il fantasma col volto deturpato, che secondo alcuni collaboratori di giustizia si muoveva spesso in compagnia di una donna: si faceva chiamare “Antonella“. Chi l’ha incontrata la ricorda come una coi modi da “guerrigliera”.

Abbate, seguendo Faccia da mostro ti sei imbattuto anche in questa sua sodale: chi era?
La procura di Catania l’ha individuata in Virginia Gargano. Oggi è ufficialmente una casalinga disoccupata, ma il suo passato è quello che giornalisticamente mi ha interessato di più.

Perché?
Perché era una delle poche donne che faceva parte di Gladio, una delle più giovani. Una napoletana che ha sposato un altro appartenente a Stay Behind, nipote dell’ex capo della Polizia Vincenzo Parisi.

Chi ci faceva questa donna con Faccia da mostro?
È il mistero che mi piacerebbe svelare. Ne parlano alcuni pentiti: Nino Lo Giudice, detto “il nano”, Maurizio Cortese, Consolato Villani.

Cosa dicono?
Che negli anni ’80 si muoveva spesso con Faccia da mostro. Poi negli anni duemila ricompare a Reggio Calabria, quando Aiello incontra i capi della ‘ndrangheta con i quali parla di un traffico d’armi.

Su di lei ha indagato la procura Catania?
Sì, era la stessa inchiesta per concorso esterno alla mafia che ha visto indagato Aiello. L’hanno intercettata tra il 2013 e il 2014.

Poi però Aiello muore d’infarto su una spiaggia calabrese, da solo. Era il 2017: per qualche investigatore è una morte che arriva al momento giusto. Tu che idea ti sei fatto?
L’infarto può cogliere sempre tutti di sorpresa, purtroppo. Aiello viene colpito da infarto dopo essere stato individuato da Vincenzo Agostino come l’uomo che era andato a casa sua a cercare suo figlio. Da lì a poco sarebbe stato interrogato: non possiamo sapere come si sarebbe comportato davanti ai pm. Di sicuro è in quel momento che muore, e muore sicuramente d’infarto, come ha confermato l’autopsia. Subito dopo la famiglia ha deciso di cremarne il corpo.

La donna che accompagnava Faccia da mostro non è l’unica che è spuntata ultimamente sullo sfondo dei grandi delitti di mafia.
No, ci sono dei testimoni che notano una donna nei pressi dei luoghi delle stragi del 1993, quelle di Milano, Firenze e Roma. Hanno fatto anche gli identikit, ma fino a oggi non si è mai arrivati a un nome.

C’è l’ombra di una donna anche sullo sfondo della strage di Capaci.
Qualcosa di più dell’ombra. Ci sono i reperti trovati nei pressi del cratere della strage. Reperti che potrebbero appartenere agli attentatori. Ebbene su quei reperti ci sono tracce di dna, un dna che è femminile.

Una donna nel commando che uccise Falcone sarebbe la più grossa rivelazione degli ultimi trent’anni.
Sappiamo che Cosa nostra non ha mai affidato le fasi esecutive di una strage o di un omicidio a una donna. O comunque nessuno ne ha mai parlato, quindi questa cosa lascia pensare che possano esserci stati soggetti esterni alla mafia tra gli esecutori delle stragi. Tra tutte queste ipotesi, però, c’è un dato inconfutabile: quel dna trovato tra i reperti di Capaci appartiene a una donna.

Secondo te la donna di Capaci è la stessa degli identikit delle stragi del 1993?
Rispondere a questi interrogativi è parte integrante del mistero che come cronisti stiamo raccontando da anni. Vorremmo che qualcuno li risolvesse, prima o poi.

Ventinove anni dopo la strage di Capaci è ancora possibile ricostruire come andarono davvero le cose? È possibile a un certo punto arrivare alla verità?
Come per tutti gli altri delitti, io penso che più passa il tempo, più sarà difficile accertare come andarono le cose. Gli anni continuano a coprire le tracce, i fiancheggiatori ed eventuali personaggi esterni a Cosa nostra. Quando parlo di personaggi esterni mi riferisco a quelli che non hanno materialmente eseguito alle stragi, ma hanno contribuito a spingere Totò Riina sulla strada dell’attacco allo Stato a suon di bombe.

Più passa il tempo e meno possibilità avremo di scoprire chi sono?
Ci sono stati i depistaggi, le piste fasulle, le indagini che hanno imboccato direzioni sbagliate. Basta solo ricordare che solo adesso siamo arrivati alla condanna di Nino Madonia per l’omicido di Nino Agostino. Un duplice omicidio commesso nel 1989 e oggi dobbiamo ancora capire bene quale fosse il ruolo di Faccia da mostro in quella vicenda. Come in tante altre: di quel periodo c’è ancora moltissimo da scoprire. E sono passati più di trent’anni ormai.

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