Si è sentito male in spiaggia, colto da un malore in mezzo agli altri bagnanti. È morto così, come un turista qualsiasi che cerca di portare a riva la sua barca, Giovanni Aiello, l’ex poliziotto della squadra mobile di Palermo, finito al centro delle cronache giudiziarie degli ultimi anni con un’accusa infamante. Per almeno quattro procure, infatti, era lui Faccia da Mostro, l’oscuro personaggio con il volto sfregiato che si muoveva sullo sfondo delle stragi di mafia tra la fine degli anni ’80 e i primi anni ’90. L’ex poliziotto si trovava sulla costa ionica in provincia di Catanzaro, dove da anni si era ritirato a vivere a Montauro: stava cercando di portare a riva la propria imbarcazione, ma dopo averla tirata sulla battigia si è accasciato in mezzo ai bagnanti che lo avevano aiutato, probabilmente colpito da un infarto. P

Disposta l’autopsia. I legali: “Morto da innocente” – Se ne va così un uomo sospettato dei delitti più efferati: dall’omicidio del poliziotto Nino Agostino, accusa per cui la procura di Palermo aveva chiesto l’archiviazione, a un suo possibile ruolo nelle fasi preparatorie delle stragi di Capaci e via d’Amelio. Accuse sempre smentite dal diretto interessato e che secondo i suoi legali sarebbero state già tutte archiviate. “Giovanni Aiello è morto da innocente, da mesi la Procura di Palermo aveva archiviato le indagini a suo carico. La famiglia di Aiello dopo anni di sofferenze non merita ulteriori atti di sciacallaggio sulla figura del parente prematuramente scomparso”, dicono gli avvocati Eugenio Battaglia e Ugo Custo. Per Aiello il pm di Catanzaro, Vito Valerio, coordinato dal procuratore capo, Nicola Gratteri, ha disposto l’autopsia.

Le indagini di 4 procure – Chiaro di capelli e con una guancia sfregiata da una cicatrice sul volto – che a suo dire era il frutto di un incidente – Aiello era stato congedato dalla polizia nel 1977. Nel 2011 finisce al centro delle indagini della procura di Caltanissetta. Per i pm nisseni era lui l’inquietante personaggio che ha percorso come un’ombra tutta la Palermo delle stragi, per poi scomparire definitivamente, lasciando traccia di sé soltanto dentro ai verbali di collaboratori e testimoni. Un killer a servizio di Cosa nostra con un tesserino dei servizi in tasca evocato più volte come uomo chiave di tanti misteri a cavallo tra Stato e mafia che però non era mai stato individuato. E i riscontri ai pm nisseni mancheranno anche nel 2012, visto che chiedono e ottengono di archiviare le accuse a suo carico. Passano pochi mesi e il nome di Aiello viene nuovamente rilanciato nei vari fascicoli di indagine sulle stragi: solo che questa volta a indagare sul suo conto sono anche i pm delle procure di Palermo, Catania e Reggio Calabria.

Il caso Agostino – A tirarlo in ballo è più di un pentito: Vito Lo Forte lo fa nel novembre del  2015 davanti al giudice per le indagini preliminare Maria Pino, che stava celebrando l’incidente probatorio a carico di Gaetano Scotto e Antonino Madonia, accusati di aver ucciso il poliziotto Agostino e la moglie Ida Castelluccio, il 5 agosto del 1989 a Villagrazia di Carini.  “Lì c’era anche Giovanni Aiello, aiutò Scotto e Madonia a farli scappare a bordo di un’altra auto, dopo aver distrutto la motocicletta che avevano utilizzato”, è la versione del pentito Lo Forte.  Pochi mesi dopo, il 26 febbraio del 2016, era arrivato a riconoscere Aiello in un confronto all’americana anche Vincenzo Agostino, il padre dell’agente assassinato, che già in passato aveva raccontato della presenza di uno strano soggetto con la faccia butterata nei pressi di casa sua, pochi giorni prima dell’assassinio del figlio. “Era un uomo con i capelli biondi, dal viso orribilmente butterato, venne a bussare a casa mia chiedendo di mio figlio”, aveva detto Agostino. Che in quel confronto al carcere Ucciardone di Palermo non ha dubbi: “Faccia da mostro è lui”, dice indicando Aiello, nonostante l’ex poliziotto si fosse tinto per l’occasione i capelli di castano scuro.

L’indagine per concorso esterno – Quel riconoscimento, però, per i pm ha poco valore: anche per questo i magistrati chiederanno l’archiviazione di Aiello, Scotto e Madonia. Oltre che per l’omicidio Agostino, l’ex poliziotto era indagato anche per concorso esterno a Cosa nostra: sono diversi, infatti, i collaboratori di giustizia che lo dipingono come una sorta di sicario professionista al centro di un reticolo di misteri, omicidi e depistaggi. Alcuni pentiti, poi, lo indicano come assiduo frequentatore di fondo Pipitone, e cioè la base storica della famiglia mafiosa dei Galatolo nella borgata marinara dell’Acquasanta: lì i boss si riunivano per discutere degli affari di Cosa nostra, da lì partivano gli ordini di morte per alcuni degli omicidi eccellenti degli anni ’80, e sempre lì i pentiti raccontano di aver visto più di una volta Aiello. “Tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio degli anni Novanta quell’uomo veniva periodicamente a Fondo Pipitone, incontrava mio padre, partecipava alle riunioni con gli altri capi delle famiglie palermitane”, ha raccontato Vito Galatolo, rampollo dell’Acquasanta che ha riconosciuto l’ex poliziotto in un altro confronto all’americana, come già aveva fatto la sorella Giovanna. Sono soltanto alcune di una serie impressionante di testimonianze che per i pm “costituisce prova insuperabile da poter ritenere Aiello in contatto qualificato con Cosa nostra (se non addirittura intraneo)”. Solo che tutti i racconti dei collaboratori di giustizia si fermano al massimo alla fine degli anni ’80, ed è per questo che per i magistrati anche “il reato di concorso esterno deve ritenersi estinto per prescrizione”.

Le accuse di Logiudice – Il nome di Aiello compare anche in alcune inchieste della procura di Reggio Calabria. A citarlo è stato il pentito Nino Logiudice, detto Il Nano, che nell’estate del 2013 era scappato dalla località protetta dove risiedeva prima di essere arrestato di nuovo alcuni mesi dopo. Quando venne catturato dalla squadra mobile, al procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo il Nano disse di essere stato avvicinato da alcuni soggetti: si spacciavano per carabinieri e sapevano delle sue dichiarazioni su Faccia di mostro messe a verbale davanti al pm della procura nazionale antimafia, Gianfranco Donadio.  Al quale Logiudice non aveva riferito solo del possibile ruolo che Faccia da Mostro avrebbe avuto nelle stragi di Capaci e via D’Amelio. Nei racconti del pentito calabrese compare anche una certa Antonella: una donna che agiva con lo stesso Aiello, la cui identità resta ancora un mistero, mentre alcune ipotesi le accreditano una status da agente di Gladio. “Vi dico la verità Aiello lo sentii nominare all’Asinara; ero stato lì detenuto nel periodo 1992/1995…”, racconta Logiudice a Lombardo. Le dichiarazioni del pentito sono contenute nell’ordinanza sulla Ndrangheta stragista, che ha ricostruito la partecipazione delle cosche calabresi alle stragi contro i carabinieri del 1994. Le parole di Lo Giudice, però, sono piene di omissis.

Il legame con Contrada – Aiello compare anche nel decreto di perquisizione notificato recentemente all’ex numero 2 del Sisde, Bruno Contrada, considerato dai pm calabresi solo una persona informata sui fatti e dunque non indagato. C’è una fonte che i magistrati reputano attendibile, un testimone il cui nome resta ancora top secret, che ha fornito elementi sui contatti tra Giovanni Aiello e Bruno Contrada. Contatti sui quali la Dda sta ancora indagando e che potrebbero aprire uno squarcio sul patto Cosa nostra-‘ndrangheta nella stagione delle stragi “continentali”.

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