“Ci sono dei ragazzi che hanno espresso il desiderio di rivederla. Che ne dice? E’ a Roma?”. Il WhatshApp, inviato da una delle ex rappresentanti di classe, mi ha stupito. Lo confesso. Mi ha sorpreso che anche ora che sono alle superiori abbiano tempo per me. I ragazzi che avevano voglia di vedermi facevano parte di una prima media, della quale sono stato insegnante di italiano, storia e geografia, quattro anni. Con loro sono stato solo quell’anno. La vita (professionale) del precario è questa. Quest’anno qui, il prossimo chissà dove.

E’ vero che l’anno scorso mi hanno invitato ad una pizza, dopo l’esame di terza media, ma ero più che certo che non li avrei più visti. Insieme, intendo. Invece mi hanno voluto fare un regalo. Insperato. All’appuntamento sono arrivato con qualche minuto di ritardo. Ad aspettarmi c’erano Sara e Giacomo, Lola e Matteo, Livia e Davide, Pietro e Tobia. Dopo un po’ ecco Alessandro e l’altro Davide. Li ho riconosciuti, nonostante siano cambiati. Non più bambini, ma ragazzi. Con un approccio maturo. Qualcuno più in imbarazzo con me.

Qualcuno evidentemente disinvolto. Al punto da lanciarsi in un confidenziale “Tu”, che non ho scoraggiato, pur reputandolo un po’ innaturale. Questione d’età, soprattutto. Questione della montagna di anni che ci separano. Mi hanno chiesto dove insegnassi. Come mi trovassi nella nuova scuola. Come fossero le classi. Qual è l’ambiente. Mi sono informato su come fosse andato l’anno scolastico. Se erano rimasti delusi oppure stupiti di qualcosa. Tra una richiesta ed una risposta, abbiamo trovato il modo di scherzare. Un po’ su loro. Un po’ su me.

In poco tempo abbiamo riallacciato fili che non sono mai stati recisi, ma che certo si erano assottigliati. Fili che pian piano si sono tesi, mostrandosi. Abbiamo parlato, tanto. Soprattutto di professori. I loro, nuovi. Quelli “bravi” e quelli che non lo sarebbero. Io ho ascoltato e sorriso. Sapendo che i giudizi dei ragazzi sugli insegnanti sono abbastanza soggetti a delle variabili. Insomma solo raramente rispecchiano la realtà.

Sara che non è mai stata molto estroversa, mi ha confessato che il suo insegnante preferito è quello d’italiano. E che a lei piace ancora scrivere. Come in prima media. Ma a parte i giudizi e le confessioni una cosa mi ha colpito. Ancora di più dei loro cambiamenti fisici. Li ho trovati “più grandi”. Più maturi. Meno alunni e più persone. Proprio come ho sempre sperato. Mentre parlavano sono rimasto incantato. Dai ragionamenti e dal garbo. Così non ho voluto resistere e glielo ho detto. A modo mio, naturalmente.

Con quel po’ d’ironia che, a mio parere, rende bellissimo il bello e brutto il bruttissimo. “Ragazzi, ma cosa avete fatto quest’anno? Non vi riconosco”, ho detto, per provocarli. Aggiungendo un “Siete troppo belli per essere veri”, che li deve aver un po’ sorpresi. Forse. “Professore, trova?”, ha subito replicato Lola, con un sorriso. “Tutto merito dei libri che abbiamo letto”, ha risposto Tobia, strizzando l’occhio. “Professore, non si lasci ingannare dalle apparenze. Se rimaniamo ancora un po’ insieme, se ne potrà accorgere… siamo sempre gli stessi”, ha detto Giacomo. Mentre Livia non dice nulla. Come Sara. Però sorridono.

E subito iniziano a raccontarmi che anche quest’anno sono andati in campeggio. A Sperlonga, per due notti. Quasi, tutti insieme. Hanno avuto freddo, la notte. E ha fatto molto caldo il giorno. Ma si sono divertiti. Sono felici. Si vede. E si vogliono bene. Continuano a cercarsi, nonostante ormai siano in altre classi. Nonostante abbiano iniziato una loro vita. Per loro la serata è proseguita a casa di Lola. Una pizza e ancora chiacchiere. Io ho preferito andare. Ero già felice di quel che avevo visto e sentito.

Quel che si riesce a dare ai ragazzi non si disperde quasi mai. E quel che non brilla oggi lo farà più in là. L’importante è non venir mai al patto che si stringe con loro quando ci si incontra la prima volta. “Io vi aiuterò a diventare grandi, ma voi, fidatevi. Sarò dalla vostra parte, anche quando non vi sembrerà”. Grazie ragazzi del regalo che mi avete voluto fare.

Articolo Precedente

La scuola non è percepita come luogo sicuro dagli studenti: manca il dialogo coi docenti

next
Articolo Successivo

Ius scholae e dispersione scolastica: i giovani ancora mortificati

next