Flavia Casadei, diciotto anni, voleva diventare un’artista. Partita di buon’ora da Rimini, dove aveva frequentato il quarto anno al liceo scientifico Serpieri, andava a Brescia dallo zio. Qui avrebbe dovuto incontrare un pittore per sottoporgli i suoi disegni. Alla ricerca di un posto a sedere nell’affollata sala d’aspetto di seconda classe, si era infilata in quella di prima. Quando un militare la liberò dalle macerie, era viva, ma le ferite erano troppo gravi. Accanto a lei, c’era un giovane che arrivava da Asti e viaggiava insieme a un amico che sopravvisse, Franco Ponchione. Si chiamava Mauro Alganon, e il 19 agosto avrebbe compiuto ventidue anni. Era l’ultimo di tre figli e per vivere faceva il commesso di una libreria. Era in ferie da una settimana e stava viaggiando alla volta di Venezia dove contava di scattare quante più fotografie possibile, la sua passione. Quasi coetaneo era il barese Giuseppe Patruno. Con Antonio, il fratello minore, avevano trascorso qualche giorno a Rimini, ospiti di amici. Qui avevano conosciuto tre ragazze straniere che il 2 agosto 1980 accompagnarono in auto alla stazione di Bologna. Giuseppe era più avanti di qualche metro, abbastanza da morire, mentre l’esplosione risparmiò gli altri.

Rossella Marceddu, diciannove anni, veniva da Prarolo, in provincia di Vercelli, e studiava per diventare assistente sociale. Voleva lavorare con i bambini disabili e avrebbe dovuto raggiungere in Liguria, a Nervi, il fidanzato. Intanto aveva trascorso qualche giorno a Lido degli Estensi con la famiglia. Quando la bomba esplose, era sul quarto binario con un’amica, Arianna Raccanelli. In attesa del treno per Milano, Rossella si era offerta di andare al bar a prendere qualcosa da bere. Arianna sopravvisse e fu lei a chiamare la famiglia dell’amica per avvertirla della bomba esplosa poco prima.

Davide Caprioli era invece un aspirante commercialista di Verona. Aveva vent’anni e aveva trascorso qualche giorno ad Ancona, dove abitava la sorella Maria Cristina. Quella sera avrebbe dovuto suonare in Veneto e così aveva preso un treno facendo scalo a Bologna, in attesa della coincidenza. Vito Ales veniva da Piana degli Albanesi, in provincia di Palermo. Era un operaio specializzato ed era abituato a darsi da fare. Tanto che quell’estate, prima di lasciare la Sicilia, aveva trebbiato i campi del padre di un amico, morto improvvisamente. Poi era partito per Cervia, dove avrebbe lavorato come stagionale. Di passaggio a Bologna, stava camminando sul primo binario. Lì c’era anche un avvocato di quarantaquattro anni specializzato in diritto del lavoro. Si chiamava Mario Sica, era nato a Roma e da qui se n’era andato per prendere servizio nell’ufficio legale della Fiat di Torino. Poi, nel 1963, si era presentata un’opportunità a Bologna, all’Atc, l’azienda dei trasporti, e l’aveva accettata trasferendosi qui con la moglie Grazia e con i tre figli, Myriam, Davide e Simone. Una vita tranquilla, fino al 2 agosto 1980, quando era andato alla stazione perché stava arrivando sua madre, Anna. Quando la bomba esplose, era accanto alla sala d’aspetto di seconda classe.

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Il 2 agosto 1980 la strage di Bologna, esseri umani non numeri. Chi erano tutte le vittime della bomba alla stazione: 85 morti e 200 feriti

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Bologna, a 40 anni dalla strage “la luce in fondo al tunnel della verità. Dopo i mandanti ed esecutori bisognerà individuare gli ispiratori politici”. L’inchiesta sui mandanti massoni della P2 apre nuovi scenari

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