Cercavano Matteo Messina Denaro. Legami, tracce, spiragli che dai clan di Agrigento potessero condurre alla latitanza del boss di Castelvestrano. E invece si sono imbattuti in Antonello Nicosia, attivista radicale, sedicente professore di “storia della mafia” all’Università di Santa Barbara in California, e soprattutto collaboratore della deputata Giuseppina Occhionero. È nella caccia all’ultimo superlatitante di Cosa nostra che gli investigatori della procura di Palermo sono arrivati a ordinare il fermo dell’uomo che definiva “primo ministro” il boss di Cosa nostra. E addirittura invocava la protezione di “san Matteo” (riferendosi sempre a Messina Denaro ndr) nei messaggi vocali inviati alla parlamentare di Liberi e Uguali, recentemente passata con i renziani di Italia Viva. Una collaborazione, quella con Occhionero, che garantiva a Nicosia di accedere ai penitenziari e incontrare autorevoli boss di Cosa nostra. Padrini reclusi ai quali portava i messaggi dei clan.

L’alta mafia – Secondo i pm, infatti, Nicosia, l’uomo che era stato eletto al congresso nazionale dei Radicali, l’attivista che conduceva su un’emittente locale una trasmissione sui diritti dei detenuti (si chiamava, non senza fantasia, “Mezz’ora d’aria“), aveva una doppia vita. Era “pienamente inserito nell’associazione mafiosa“, scrivono i pm Francesca Dessì e Geri Ferrara nel provvedimento di fermo. A certificarlo sono le indagini coordinate dal procuratore aggiunto Paolo Guido, che documentano il rapporto strettissimo con il boss di Sciaccia Accursio Dimino, braccio destro del padrino Salvatore Di Gangi e in passato addirittura socio di Massimo Maria Berruti, ex finanziere, poi avvocato della Fininvest di Silvio Berlusconi e quindi deputato di Forza Italia. Ma non solo. Perché l’inchiesta della procura di Palermo conduce direttamente ai fedelissimi di Messina Denaro. Gli investigatori del Ros dei carabinieri e della Guardia di Finanza hanno fotografato un summit con due uomini storicamente vicinissimi all’ultima primula rossa delle stragi. E pure un legame stretto con Cosa nostra americana, ancora attivissima e legatissima alla terra nati. Insomma, stando alle carte dell’inchiesta, quelli frequentati da Nicosia non erano balordi di strada, ma mafiosi di rango. D’altra parte l’attivista radicale diventato collaboratore della deputata Occhionero aveva alle spalle una condanna a dieci anni e mezzo per spaccio di stupefacenti. Ma andiamo con ordine.

Il summit con gli uomini di Matteo – È il 14 febbraio del 2019 e a Porto Empedocle Nicosia incontra Giuseppe Fontana, detto Rocky. Un personaggio molto importante nella storia del clan di Castelvetrano: scarcerato nel 2013 dopo vent’anni di carcere, è legato a Messina Denaro da un’amicizia stretta fin da quando erano bambini. Negli anni ’90 Rocky Fontana era considerato l’armiere del clan: in una delle sentenze che lo riguardano è accertato che importava dall’estero mitragliatori Kalashnikov e Uzi. Con Fontana e Nicosia c’era anche Fabrizio Messina, fratello di Gerlandino, capomafia dell’Agrigentino arrestato da latitante nel 2010. Piazzati a poca distanza c’erano gli uomini del Ros dei carabinieri, armati di fotocamera. “Il dato che deve assolutamente evidenziarsi è che lo spessore mafioso dei soggetti che si incontravano lasciava certamente intendere che detta riunione aveva ad oggetto argomenti mafiosi di natura interprovinciale posto che, a parteciparvi, erano un importante uomo d’onore di Castelvetrano e un altrettanto importante uomo d’onore di Porto Empedocle”, annotano i pm.

L’amico di Castelvetrano – Il lavoro degli investigatori è difficoltoso: più che docente o attivista per i diritti dei detenuti, infatti, Nicosia si comporta da ricercato. “Questi dove li lasciamo”, chiedeva prima di un altro incontro, riferendosi ai cellulari. Nicosia era preparatissimo anche sui tempi dei decreti per piazzare le microspie ambientali: “Io ogni mese cambio la macchina” perché “ci vogliono 45 giorni prima per l’autorizzazione e io gliela vado a lasciare prima”. Anche nel summit di Porto Empedocle gli inquirenti riescono a intercettare pochi dialoghi: a un certo punto fotografano Fontana mentre si prende la briga di lasciare il telefono a bordo della sua auto, prima di rimettersi a discutere con gli altri. “Ma l’amico vostro a Castelvetrano è? A lui non gli si deve dire? A lui si deve dare il giusto”, diceva Messina, in una delle poche frasi registrate. L’amico di Castelvetrano è chiaramente Messina Denaro. “Gli si deve dare quello che il giusto … quello che”, era la risposta dell’attivista radicale. “La possibilità per il Nicosia di interloquire con associati mafiosi su una questione di natura economica, che rivestiva evidentemente enorme importanza per il sodalizio, e i riferimenti fatti alla destinazione di somme all’amico di Castelvetrano, rivela ancora una volta il pieno inserimento dell’indagato nell’associazione Cosa nostra”.

Gli “aiuti” al cognato del latitante – Il fil rouge tra il sedicente professore di storia della mafia e il cerchio magico di Messina Denaro passa pure da boss di primo livello come Filippo Guttadauro, cognato del superlatitante. Il primo giorno di febbraio dell’anno scorso, Nicosia va con la Occhionero nel carcere di Tolmezzo, dove Guttadauro è detenuto, “per fargli visita – scrivono i pm – per rassicurarlo del proprio impegno relativo alla sua ‘causa’ e, a tale scopo, proponendosi anche di presentare una interrogazione parlamentare per il tramite dell’Onorevole”. Dopo poche settimane la deputata deposita un’interrogazione parlamentare per denunciare “la criticità strutturale del carcere di Tolmezzo”. Un atto politico in cui la neo renziana fa esplicito riferimento alla “situazione in cui versavano i soggetti internati nella casa lavoro, pure sottoposti al regime di cui all’art. 41 bis”. Cioè la stessa situazione di Guttadauro. Passa meno di un mese e l’avvocato del boss, Michele Capano, racconta al Dubbio, edito dal Consiglio nazionale forense, che il suo cliente ha denunciato di aver ricevuto una proposta da non meglio identificati uomini dei servizi segreti: un milione di euro e la scarcerazione in cambio d’informazioni sul cognato, cioè Messina Denaro. Per il legale, anche lui esponente dei radicali, “finché dura l’internamento, vi è la possibilità di sollecitare alla collaborazione con la giustizia come unica via per sottrarsi alla girandola altrimenti infinita ed esasperante delle proroghe, in assenza di profili di attualità della pericolosità”.

L’intervista giratela a Matteo – L’internamento è il 41 bis, detto anche ergastolo bianco. Ed è proprio contro l’ergastolo bianco che l’avvocato Capano si scaglia quando Nicosia lo invita alla sua trasmissione sui diritti dei detenuti: tutto lecito. Però è proprio quell’intervista che Nicosia riascolta in auto l’8 febbraio, mentre le ambientaliregistrano. Poco dopo aver riprodotto quella intervista Nicosia scrive a Rocky Fontana: “Giratevela a Matteo così mi finanzia il progetto, manda un milione di euro. Ringrazia, minchia ringrazia, così… ci vuole il contributo dalla famiglia per quello che faccio”. Chi è Matteo? Per gli inquirenti sempre lui: l’ultimo superlatitante di Cosa nostra.

Il progetto americano – L’indagine non si ferma in Sicilia e neanche a Roma, in Parlamento, dove tra i banchi dei renziani siede oggi Occhionero. Gli inquirenti, infatti, sono arrivati e documentare il link tra la Sicilia e gli Stati Uniti su cui da alcuni mesi indaga anche l’Fbi. Nicosia e Dimino, infatti, tra il maggio e il giugno del 2018 erano stati degli Stati. Ed è proprio Oltreocenao voleva trasferirsi in pianta stabile: il viaggio era stato programmato per il 5 novembre e per questo motivo i pm hanno dovuto fermarli a tappe forzate. L’obiettivo era entrare nel business delle slot machine: “Noi dobbiamo andare là per fare o in California o in Texas o in un altro posto, non è che per forza dobbiamo farlo a New York! Dobbiamo fare una cosa per fare soldi, anche in un altro Paese “, dicevano. “Lì ci sono albanesi, portoricani, ma ci saranno pure gli italiani, i siciliani attenzione”. E manifestavano stima per i calabresi: “I Calabresi boni su, sai cosa hanno di buono? Che non si pentono“, diceva Nicosia, il sedicente docente di storia della mafia.

Il link Sicilia-Usa – I contatti con gli americani erano continuati anche dopo il ritorno in Sicilia con alcuni incontri in quella che è la “capitale” degli expat negli Stati Uniti: Castellammare del Golfo, piccolo centro in provincia di Trapani, storica città d’origine di molti gangstar americani. “Questi di Castellammare non sono minchia”, è un’altra delle intercettazione agli atti dell’inchiesta. Dove fanno capolino personaggi dalla doppia nazionalità: come “Stefano Turriciano, originario di Castellammare del Golfo ma dimorante perlopiù negli Stati Uniti”, che ha viaggiato almeno in un’occasione tra l’America e la Sicilia con “Franco Salvatore Montagna, originario di Alcamo e fratello Sal Montagna, come noto affiliato alla famiglia newyorkese dei Bonanno e assassinato il 24 novembre 2011 a Montréal”. Viene ucciso a Staten Island, invece, Frank Calì. “Davvero inquietante la circostanza che, proprio il 14 marzo 2019, giorno in cui come detto sono state registrate le suddette telefonate, era stato assassinato a New York Frank Calì, presunto appartenente alla famiglia mafiosa italo-americana dei Gambino”, scrivono i pm spiegando che “la vittima dell’omicidio era in stretti rapporti con Leonardo Zinna che quel giorno, dopo una serie di telefonate col proprio figlio Dominique (che si trovava negli Stati Uniti), aveva rifiutato qualsivoglia contatto con Sergio Gucciardi”. Zinna, detto Dino, è un italoamericano cugino di Dimino. Nelle chiamate intercontinentali con il figlio, poche ore dopo l’omicidio di Calì, fa cenno alle condizioni esclusivamente metereologiche: “Tutto a posto Dominique?”. “Si tutte cose a posto papà, un po’ di un po’ di maruso (mare mosso ndr) c’è qua, resta lì!”, risponde il figlio. “No qua freddo fa Dominique! Il tempo ogni tanto fa caldo, ogni tanto fa freddo, ma è buono, mi hai capito?”. Evidentemnete i due Zinna si erano capiti al volo.

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