Ricapitolando: fra il 2014 e il 2018 a Roma non esiste più la fase 3 (smaltimento); la fase 2 (trattamento) funziona solo in parte ma regge grazie alla fase 2 e mezzo (trasbordo); e la fase 1 (raccolta) ha le sue difficoltà. Il ciclo dei rifiuti, insomma, si regge su un filo sottilissimo e va in crisi in due momenti precisi dell’anno, a dicembre e a luglio, prima di alleggerire a ridosso delle vacanze. E nel 2017 è venuto a mancare anche l’inceneritore di Colleferro, chiuso per essere rigenerato e mai più riaperto. Il 29 marzo 2017, Virginia Raggi presenta il “piano materiali post-consumo“, con l’obiettivo di raggiungere entro il 2021 il 70 per cento di differenziata. Questi numeri avrebbero permesso di rendere sufficiente il ciclo esistente, affrancandosi anche dagli impianti del Colari e diminuendo via via le quote da portare fuori regione. Tutto bellissimo, se non fosse che ad oggi, dopo più di due anni, la differenziata non ha mai superato il 45 per cento (meno del 3 per cento in tre anni), costringendo Ama a ricalibrare molto la sua tabella di marcia. Il sistema va di nuovo in tilt il 10 dicembre 2018, quando un terribile incendio distrugge il tmb di Salario. Nei giorni successivi, i cittadini dei quartieri limitrofi si ribellano e vietano ad Ama anche il trasbordo, rendendo il sito di fatto inutilizzabile. Tutto ciò fa saltare in un solo colpo sia la fase di trattamento che quella di trasbordo. Il Campidoglio si trova non solo a dover pagare per portare i suoi rifiuti in altre regioni – con i bandi che finiscono puntualmente deserti, tanto da portare l’Antitrust ad aprire un’indagine per un presunto cartello fra operatori – ma ora anche ad implorare gli impianti di trattamento presenti in altri territori (o regioni) ad accettare i propri rifiuti tal quale. E’ come se via via andassero a fuoco i motori di un aereo.

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