La Federcalcio contro la commissione Antimafia. Il direttore generale Michele Uva solleva dei dubbi sul lavoro dei parlamentari guidati da Rosy Bindi che nelle ultime settimane hanno ascoltato i magistrati della procura di Torino, il procuratore federale Giuseppe Pecoraro e l’avvocato della Juventus Luigi Chiappero sulla vicenda dei biglietti ceduti dalla società a Rocco Dominello, esponente del gruppo ultras Drughi accusato di associazione mafiosa. “Mi sembra che l’Antimafia stia facendo un processo molto mediatico e questo non fa bene né al calcio, né tantomeno all’Italia. Il calcio dà esposizione mediatica e questo è evidentemente in questo momento”. Il dg ha anche aggiunto che la Figc non è preoccupata: “Noi dobbiamo occuparci della giustizia sportiva”. E ha aggiunto che “occorre che la giustizia ordinaria faccia il proprio corso con la massima serenità”. Un’altra frase pronunciata del manager della Federcalcio, ex vicepresidente e amministratore delegato della Lazio, stupisce: “Penso che i problemi dell’Italia e della commissione Antimafia dovrebbero essere rivolti verso attività ben diverse da quelle dei biglietti ad una curva“.

Tra i parlamentari questa dichiarazione ha suscitato scalpore, non solo per l’ingerenza istituzionale ma soprattutto per il doppio atteggiamento tenuto dalla Federcalcio. Da una parte, infatti, la procura federale ha deferito Agnelli, tre manager e la società per la cessione irregolare di biglietti e i contatti coi tifosi, contestando al presidente e al security manager addirittura gli “incontri con alcuni esponenti della malavita organizzata e della tifoseria ultras”, mentre dall’altra il dg Uva invita la commissione di palazzo San Macuto a non occuparsi di questa vicenda. “La commissione parlamentare Antimafia non fa processi, men che meno mediatici. Di questo si cerchino altrove le responsabilità. Preoccupa che il direttore generale della Federcalcio ritenga che ciò di cui ci stiamo occupando non sia una cosa seria. Ciò che fa male all’Italia sono le mafie, anche quando si infiltrano nello sport, e la sottovalutazione di questo fenomeno”, è la replica della Bindi. Alle sue parole si aggiungono anche quelle del vicepresidente Claudio Fava: “Se il dg della Federcalcio definisce una cosa banale un’inchiesta penale sulle infiltrazioni della ‘ndrangheta nel circuito del tifo organizzato c’è da essere preoccupati – dice l’esponente di Sinistra italiana -. Se poi si chiede alla commissione Antimafia di occuparsi d’altro c’è da essere anche imbarazzati”.

La commissione Antimafia, nel frattempo, vuole chiedere alla procura di Torino e alla procura federale la possibilità di desecretare le audizioni dei procuratori della Direzione distrettuale antimafia e di Giuseppe Pecoraro, in attesa di ascoltare quanto avranno da dire Agnelli e il presidente della Figc Carlo Tavecchio. Nessun mistro, invece, sembra esistere sull’intercettazione “fantasma” attribuita ad Agnelli, quella in cui il presidente affermerebbe di aver letto su Internet dell’arresto per mafia dei fratelli di Rocco Dominello: “Lui è incensurato, noi parliamo con lui”. L’esistenza della frase – messa in dubbio dal senatore Pd Stefano Esposito – è confermata da due fonti investigative. La conversazione è tra il security manager Alessandro D’Angelo e una terza persona ed è stata registrata dopo gli arresti dell’operazione “Alto Piemonte”, nei giorni degli interrogatori dei manager juventini in procura. Una ricerca su Google fatta dopo i primi articoli di giornale e un’intercettazione che di penalmente rilevante non ha niente. D’altronde nessuna accusa è stata rivolta dalla Dda a esponenti del club.

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