Tra i 70 osservatori internazionali mandati in Crimea a vigilare sul referendum, uno solo era italiano. Ed era l’europarlamentare Fabrizio Bertot, l’ex sindaco di Rivarolo, terzo comune piemontese sciolto per mafia. Il politico che ha chiesto voti alla ‘ndrangheta a sua insaputa. L’uomo per il quale il Tribunale di Torino, lo scorso novembre, ha chiesto nuove indagini per chiarire i suoi accordi elettorali con i boss. Un uomo, insomma, che di voti sospetti ha esperienza diretta. Assieme a Bertot è andato in Crimea, ma senza alcun mandato europeo dato che non è parlamentare, Valerio Cignetti, segretario generale dell’Alleanza Europea dei Movimenti Nazionali (Fiamma Tricolore) nonché assistente dell’eurodeputato ungherese Bela Covacs. Per entrambi le votazioni del referendum sono andate benissimo.

Fabrizio Bertot, ex sindaco di Rivarolo Canavese, è balzato agli onori delle cronache nel 2011, perché il suo nome era tra quelli dei politici non indagati, ma citati nelle carte del maxi processo contro la ‘ndrangheta Minotauro. Ormai è storia: Bertot è entrato in contatto con il gotha della ‘ndrangheta piemontese per cercare voti in vista delle elezioni europee del 2009. Ha fatto telefonate e incontri, e persino un pranzo elettorale in cui ha parlato e straparlato di appalti e lavori con un gruppo di imprenditori mafiosi. “Mi sembravano i classici artigiani-imprenditori che si erano messi in proprio” si è difeso Bertot davanti alla corte del maxi-processo in cui è stato sentito come testimone. “Avevano le mani callose”, ha aggiunto. Eppure da questi piccoli imprenditori Bertot si aspettava molto: non gli sono bastati gli 11mila voti racimolati, a quanto pare, dal boss Giovanni Iaria. Non eletto, Bertot si è lamentato con i suoi uomini: la “rete dei calabresi” non aveva funzionato a dovere.

Bertot non è stato indagato nel processo Minotauro, ma lo sono stati il segretario del suo comune, Antonino Battaglia, e l’imprenditore Giovanni Macrì, condannati entrambi per voto di scambio semplice, non essendo stato riconosciuto dal Tribunale di primo grado l’effettivo passaggio di denaro necessario a configurare il voto di scambio politico-mafioso. Eppure per la Corte presieduta dal giudice Paola Trovati Bertot non poteva non sapere, perché era “l’immediato, diretto e consapevole beneficiario dell’accordo illecito” . Per questo motivo, ma anche perché Bertot avrebbe mentito alla Corte durante la sua deposizione in aula, il Tribunale ha disposto il rinvio degli atti che lo riguardano alla Procura, perché compia nuovi accertamenti.

L’ex sindaco di Rivarolo però non è solo tra quei politici la cui colpa è “l’opportunismo”, secondo le parole dell’ex procuratore di Torino Gian Carlo Caselli. Nel 2011 il comune di cui era sindaco è stato sciolto per infiltrazioni mafiose poiché gli appalti pubblici finivano troppo spesso in mano ai imprese criminali. In più le indagini a Rivarolo “hanno appurato lo stretto legame intercorrente tra il sostegno elettorale e le opportunità di lavoro per le ditte collegate alla criminalità organizzata”. Parola dei commissiari prefettizi.

Nonostante il suo sia ormai un nome più che chiaccherato, Bertot ha conquistato comunque un seggio europeo nel maggio 2013, dopo l’elezione al Senato dei due europarlamentari Gabriele Albertini e Mario Mauro, che vinto un posto nel parlmento italiano hanno lasciato due posizioni vacanti in Europa. Una posizione da europarlamentare su cui il ministero dell’Interno ha avviato un procedimento di incandidabilità.

Eppure, nonostante le tante ombre sulla sua elezione e sui voti che lo hanno portato a Bruxelles, Bertot è stato mandato in Crimea, come unico osservatore italiano. Durante una conferenza stampa a Sinferopoli ha detto che in Crimea si è svolta “una votazione tranquilla”, simile a “quelle viste spesso in Italia”. E se lo dice lui.

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