Un duro atto d’accusa alla politica piemontese, a quella che per anni ha negato l’esistenza della mafia al nord. È la requisitoria del procuratore della Repubblica di Torino, Gian Carlo Caselli, intervenuto oggi nell’aula bunker delle Vallette di Torino al maxiprocesso Minotauro contro la ‘ndrangheta.

Un processo destinato ad entrare nella storia perché, come ha spiegato il pm Roberto Sparagna, “nessuna sentenza fino a oggi ha dimostrato la presenza della ‘ndrangheta in Piemonte”. L’indagine ha disegnato la mappa delle presenze mafiose nella provincia di Torino – almeno 360 gli affiliati stimati dalla Procura – ma ne ha soprattutto raccontato gli affari e i rapporti con le amministrazioni locali. Diversi i politici tirati in ballo. Alcuni come imputati, altri come testimoni, altri semplicemente perché evocati da uomini dei clan. Di ogni colore politico e caratura. Colpevoli, secondo Caselli, di “scarsissima sensibilità verso un’emergenza che ha talmente attecchito da non poter neppure essere considerata un’emergenza”. Impossibile da ignorare. “Perché la magistratura è stata lasciata sola? Per ignoranza, miopia, impreparazione, sottovalutazione culturale, oppure un certo distacco snobistico del nord?”, chiede Caselli. “Di fatto se ne è favorito l’insediamento”.

Il procuratore si è concentrato sulle “relazioni esterne” della mafia. “La mafia c’è perché c’è mercato per i suoi servizi”, ha spiegato, “ci sono tante persone che traggono vantaggio dall’esistenza della mafia, persone che non hanno nessun interesse a denunciarla. Persone, politici e amministratori, che la legge penale non può punire perché la loro colpa è l’opportunismo”. Caselli ha sciorinato nomi e circostanze. Quelle in cui l’ex sindaco di Rivarolo Canavese, poi sciolto per mafia, Fabrizio Bertot, oggi europarlamentare del Pdl, è entrato in contatto con il gotha della ‘ndrangheta piemontese per cercarne il consenso in occasione delle elezioni europee del 2009. Le telefonate dell’onorevole Domenico Lucà, al tempo parlamentare del Pd, che si è rivolto al presunto padrino di Rivoli (To) per raccogliere voti a favore di Piero Fassino in occasione delle primarie per la scelta del candidato sindaco di Torino. Gli appuntamenti dell’onorevole Gaetano Porcino (Idv), che più volte incontra esponenti della ‘ndrangheta per discutere con loro di voti e candidature. Poi ci sono l’assessore regionale Claudia Porchietto, il consigliere regionale Nino Boeti, i sindaci di Castellamonte, Paolo Mascheroni, e Francesco Brizio Falletti di Ciriè. Tutti inconsapevoli della vera identità dei loro interlocutori.

La richiesta di rinvio a giudizio parla chiaro. È lungo l’elenco delle campagne elettorali per le quali gli uomini della ‘ndrangheta si sono mobilitati a favore di uno o dell’altro candidato. Si tratta delle elezioni al parlamento europeo e della Provincia di Torino del 6 e 7 giugno 2009; quella per la campagna elettorale per le amministrative del 2007 per il comune di Castellamonte e del 2009 per il Comune di Borgaro Torinese; la campagna elettorale per le elezioni amministrative della città di Torino del 15 e 16 maggio 2011; quella in occasione della campagna elettorale per le elezioni amministrative per i comuni di Alpignano, Ciriè, Chivasso, Volpiano, Cuorgnè del 15 e 16 maggio 2011.

Poi ci sono i politici e amministratori imputati nel processo. Bruno Trunfio, costruttore edile, ex assessore ai lavori pubblici del Comune di Chivasso, e prima di essere imputato per mafia, vicesegretario dell’Udc del comune più grande dell’hinterland torinese. Antonino Battaglia, ex segretario comunale di Rivarolo Canavese, comune sciolto per infiltrazioni mafiose, accusato di voto di scambio politico-mafioso e per il quale la procura ha chiesto l’aggravante mafiosa. E infine Nevio Coral, ex sindaco di Leinì, comune anch’esso sciolto per mafia, imprenditore molto influente nel canavese e sponsor elettorale dell’ex assessore regionale alla sanità, Caterina Ferrero. Accusato di concorso esterno in associazione mafiosa e voto di scambio.

“Chi paga il prezzo di queste cose?”, chiede Caselli alla fine della requisitoria. “Pagano i cittadini, i consumatori. Perché? Perché abbiamo organismi elettivi disonesti, perché la regolarità dei mercati risulta stravolta, oltre a dover vivere in un ambiente pervaso dalla corruzione, fino alla violenza. Allora è indispensabile riaffermare la presenza dello Stato”.

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