In primo grado quando, da latitrante, fu condannato all’ergastolo, nella sentenza per Matteo Messina Denaro fu riconosciuta l’esistenza di un “disegno comune” scattato all’indomani del verdetto definitivo sul maxiprocesso, emesso dalla Cassazione il 30 gennaio ‘92. Un progetto – innescato dalla volontà di vendetta di Cosa nostra – che prevedeva appunto la mattanza dei giudici Falcone e Borsellino. Anche i giudici della Corte d’assise d’Appello di Caltanissetta hanno condannato all’ergastolo il boss di Castelvetrano, considerato appunto uno dei mandanti delle stragi di Capaci e via D’Amelio nel 1992. Un verdetto – che conferma la decisione di primo grado – che arriva nel giorno del 31º anniversario del massacro del giudice Borsellino e della sua scorta: Emanuela Loi, Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina, Claudio Traina

Per lui – ora detenuto nel carcere dell’Aquila – il procuratore generale Antonino Patti e i sostituti Fabiola Furnari e Gaetano Bono avevano chiesto il fine pena mai. L’ultimo stragista – dal momento della sua cattura lo scorso 16 gennaio – non ha mai presenziato alle udienze e ci sono stati cambi di difensori prima di arrivare all’ultima avvocata che nell’arringa ha chiesto l’assoluzione ricevendo i complimenti del boss con un telegramma. I giudici si erano ritirati in camera di consiglio alle 10.30.

La famiglia Borsellino: “Soddisfazione” – “Avere la conferma dell’ergastolo per l’ultimo grande stragista per noi è motivo di grande soddisfazione. Ancora una volta lo Stato italiano ha esercitato la sua potestà punitiva e noi non possiamo che essere soddisfatti del risultato. Con la sentenza di oggi, benché ancora non definitiva ma è un tassello importantissimo, la stagione corleonese può dirsi chiusa” ha detto all’Adnkronos l’avvocato Fabio Trizzino, legale della famiglia Borsellino.

L’accusa: “Chiuso il cerchio” – “Ci aspettavamo la conferma dell’ergastolo per Messina Denaro. Saremmo rimasti sorpresi se dopo le condanne di Messina Denaro, da parte dei giudici fiorentini per le stragi del ’93 e del ’94, oggi venisse assolto. Lui è stato protagonista dalle stragi siciliane a quelle del Continente” commenta il procuratore generale facente funzione di Caltanissetta Antonino Patti, commentando la conferma dell’ergastolo per il capomafia Matteo Messina Denaro per le stragi del ’92. “Questa è una sentenza che armonizza totalmente con tutte le precedenti sentenze della stagione stragista – dice Patti che ha rappresentato l’accusa con i sostituti procuratori generali Gaetano Bono e Fabiola Furnari – in particolare la sentenza di Firenze“. Per il pg questo verdetto “chiude il cerchio”.

La difesa: “Aspettiamo le motivazioni” – “È una sentenza che è stata pronunciata in nome del popolo Italiano e come tale va rispettata. Fermo restando la possibilità, prevista dal nostro ordinamento, di poterla impugnare – dice l’avvocata Adriana Vella -. Dobbiamo conoscere le motivazioni di questa condanna ma resta ferma la mia convinzione sull’assenza di elementi sufficienti per ritenere confermata la responsabilità di Matteo Messina Denaro in ordine alla deliberazione del piano stragista che comprende anche le stragi di Capaci e via D’Amelio, cioè quelle che vengono contestate in questo processo”. Al difensore è stata fatta notare l’assenza dell’imputato per tutto il processo. “Non dobbiamo dimenticare che Matteo Messina Denaro è un malato oncologico, sta male e credo che anche i suoi problemi di salute e le sue condizioni fisiche non gli abbiano consentito di partecipare alle udienze”. Poi ha aggiunto: “Con lui non ho mai parlato. Ho ricevuto soltanto un telegramma da parte sua dove mi chiedeva se fossi disponibile a un colloquio con lui che però non è mai avvenuto e di ciò non conosco le ragioni” .

La requisitoria e il mistero della missione romana– Durante la requisitoria durata molte udienze si è discusso anche di uno dei misteri della fase preparatoria delle stragi del 1992: “Tra i motivi dell’Appello della Corte di Assise d’Appello di Catania del 2006 si dice che la missione romana fu un astuto espediente per distogliere i sospetti da Cosa nostra e far credere che fossero stati i servizi segreti deviati. Ma non è così, allora alcune cose non si sapevano ma la missione romana era una cosa seria che alla fine fallì”, aveva spiegato Patti, chiedendo alla Corte d’Assise d’Appello a Caltanissetta di confermare la sentenza di primo grado, cioè l’ergastolo per l’ultimo superlatitante di Cosa nostra. La cosiddetta missione romana risale alla fine del febbraio del ’92, quando Totò Riina inviò nella capitale un ristretto gruppo di uomini d’onore guidato da Messina Denaro e Giuseppe Graviano: erano i componenti della cosiddetta Supercosa, la risposta del boss corleonese alla Superprocura, cioè la Direzione nazionale antimafia che era stata inventata da Falcone.

Il magistrato poi ucciso a Capaci era l’obiettivo della missione romana, insieme a Maurizio Costanzo. “Si parla di totale superficialità e inadeguatezza di Riina nell’organizzare la missione romana e che ha fatto affidamento a persone non tutte di rilevante calabro mafioso. Ma ci aveva mandato le persone più importanti, come Giuseppe Graviano, che è un capomandamento, così come Matteo Messina Denaro –aveva detto Patti – Non è affatto vero, poi, che nel sestetto romano c’era gente che non sapeva mettere mano sugli esplosivi. Riina a Falcone lo avrebbe ucciso ovunque, anche sulla Luna. Lo dice lui stesso in un’intercettazione”. Ma la strategia cambia. Il pentito Gaspare Spatuzza – tornato in libertà condizionale lo scorso 10 marzo – individua in quel cambio di strategia un passaggio fondamentale: “La genesi di tutta questa storia è quando non si uccide più Falcone a Roma con quelle modalità e si inizia quella fase terroristica mafiosa, da lì non è solo Cosa nostra”.

Mattanza, il podcast sulle stragi del ’92 prodotto dal Fatto Quotidiano.

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