Non solo le preoccupazioni per il “crescente rischio” di ritardi nell’attuazione del Pnrr. Nel country report sull’Italia pubblicato mercoledì insieme alle raccomandazioni Paese lo staff della direzione generale Affari economici della Commissione europea mette nel mirino le decisioni del governo Meloni sul fronte fiscale, i continui rinvii sulle concessioni balneari e le proposte sull’autonomia differenziata. Per quest’ultima arriva la bocciatura più pesante: la delega firmata da Roberto Calderoli “rischia di mettere a repentaglio la capacità del governo di indirizzare la spesa pubblica” e la possibilità di “fornire gli stessi livelli essenziali di servizi in regioni storicamente a bassa spesa, anche per la mancanza di un meccanismo perequativo“. Aspetti che si tradurrebbero in “un impatto negativo sulla qualità delle finanze pubbliche italiane e sulle disparità regionali“. Un giudizio non sorprendente: le perplessità ricalcano quelle espresse dal Servizio bilancio del Senato nell’analisi – poi derubricata a “nota provvisoria e non verificata” – che la settimana scorsa ha alimentato gli attacchi delle opposizioni e fatto emergere chiare divisioni interne alla maggioranza.

Tornando al fisco, i funzionari rilevano che l’ampliamento della flat tax agli autonomi con redditi fino a 85mila euro e la tassa piatta incrementale introdotte con la legge di Bilancio non solo “suscitano preoccupazioni in termini di equità ed efficienza del sistema” perché “riducono l’effetto redistributivo, implicano livelli di tassazione diversi tra categorie di contribuenti e creano disincentivi alla crescita delle attività” ma, andando a braccetto con uno sconto sui contributi previdenziali, comportano pure un problema di lungo periodo per “la sostenibilità del sistema di welfare“. E la delega fiscale, che prevede nel medio periodo una flat tax generalizzata sui redditi delle persone fisiche già definita “poco realistica” da Bankitalia, peggiora le cose perché potrebbe “ostacolare la progressività“. Secondo i tecnici europei una linea d’azione efficace dovrebbe seguire tutt’altra impostazione, quella predicata da anni: spostare la tassazione dal lavoro ad altre fonti di gettito meno dannose per la crescita. Come le tasse su donazioni e eredità e quella sulle prime case, che l’Italia ha azzerato un decennio fa. La Commissione nelle raccomandazioni del 2021 aveva poi chiesto di allineare i valori catastali a quelli di mercato e ridurre i sussidi dannosi per l’ambiente insieme agli altri (più o meno settoriali) incentivi fiscali, ma non registra “alcun progresso” su quei fronti.

Lo staff arriva anche a suggerire una possibile riforma neutrale dal punto di vista degli introiti per lo Stato e ne misura gli effetti utilizzando il sistema di simulazione Euromod: si tratterebbe di aumentare l’aliquota sui redditi più alti dal 43 al 49% e finanziare con il ricavato un aumento del credito d’imposta per il primo, secondo e terzo scaglione di reddito. Questo “ridurrebbe in maniera considerevole il gap rispetto alla media europea a circa 1 punto percentuale” e “il cuneo fiscale per i contribuenti che hanno salari pari a due terzi della media calerebbe di un punto sotto la media europea“. Come effetto collaterale, “la povertà calerebbe dell’1% e la disuguaglianza dell’1,2%” e la partecipazione al lavoro aumenterebbe. Ma il governo ha scelto di andare in direzione opposta, come dimostra da ultimo l’intenzione di ridurre il superbollo sulle auto più potenti e abrogare o rivedere l’imposta sulle transazioni finanziarie.

Per quanto riguarda le spiagge, “i continui ritardi nell’implementazione di procedure competitive efficaci per l’assegnazione di licenze per la gestione di strutture marittime, lacustri e fluviali per il tempo libero e il turismo rimangono una fonte di preoccupazione e comportano una significativa perdita di entrate“. Sebbene la legge annuale sulla concorrenza 2021 avesse “posto i presupposti per una riforma del settore, sono state introdotte successive iniziative legislative che hanno concesso ulteriori proroghe dei contratti in essere, ostacolando così l’avanzamento”. Una mossa già censurata dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che ha evidenziato “profili di incompatibilità con il diritto europeo – l’Italia è già sotto procedura di infrazione – e “con decisioni giurisdizionali definitive“. Quelle del Consiglio di Stato, che ha sancito come le concessioni in essere resteranno valide solo fino al 31 dicembre di quest’anno e dal giorno successivo non ci sarà alcuna possibilità di proroga ulteriore: quella inserita nel Milleproroghe dalla maggioranza sarà quindi inapplicabile e tutte le concessioni in essere dovranno
considerarsi prive di effetto. Con risultati potenzialmente dirompenti per l’intero sistema.

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