Anche Bankitalia boccia quello che secondo il governo Meloni dovrebbe essere il punto di approdo della delega fiscale ora all’esame della Commissione finanze della Camera. Cioè la flat tax per tutti cara alla Lega e a Forza Italia (Fratelli d’Italia come è noto ha voluto quella “incrementale”, inserita in legge di Bilancio). Il capo del Servizio assistenza e consulenza fiscale della Banca d’Italia Giacomo Ricotti, in audizione sul testo, ha ricordato che quel sistema “è stato adottato in prevalenza da economie in transizione o in via di sviluppo, con una contenuta pressione fiscale e sistemi di welfare di dimensione limitata”. Ad applicare un’aliquota unica sono al momento solo 14 Stati o territori autonomi su 225: nel gruppo, per farsi un’idea, ci sono Belize, Bolivia, Guernsey, Kazakistan, Turkmenistan e Uzbekistan. Dal 2010 ben dieci Paesi che avevano la tassa piatta (tra cui la Russia) hanno invertito la rotta introducendo più aliquote. E non è un caso: in un Paese “con un ampio sistema di welfare” passare alla tassa piatta “potrebbe risultare poco realistico, soprattutto alla luce dei vincoli di finanza pubblica”, ha avvertito Ricotti. Se proprio si intende procedere su quella strada “ne andranno attentamente valutati gli effetti redistributivi. La sfida sarà tradurre in pratica i principi cui si ispira la delega tenendo insieme i vincoli di bilancio pubblico, l’equità orizzontale e verticale agendo su deduzioni e detrazioni.

Quello sulla tassa piatta è solo il primo dei tanti dubbi espressi dal capo del servizio che analizza le norme sulla fiscalità. “Molti degli interventi prefigurati” nella delega, per prima cosa, “comporteranno perdite di gettito“. Per questo “si richiama la necessità che la delega trovi le opportune coperture“. Che al momento “sono previste solo per il superamento dell’Irap attraverso la nuova sovraimposta all’Ires” che però farebbe salire l’aliquota complessiva “oltre il 30%”: la più alta nella Ue dopo quelle di Malta e Portogallo. Per cui la riforma “potrebbe agire negativamente sull’attrattività del paese per gli investimenti diretti esteri e condurre a un aumento degli incentivi al profit shifting“. Esattamente l’opposto dell’obiettivo dichiarato a più riprese dal viceministro con delega al fisco Maurizio Leo.

In questo quadro “non è chiaro né quali incentivi fiscali saranno oggetto della razionalizzazione, né quindi l’entità delle risorse che potranno essere recuperate”. Il riordino delle detrazioni e dei crediti di imposta, previsto dal Ddl, è auspicabile” ma non si capisce come si intenda farlo, è il messaggio tra le righe, visto che “la delega riporta un elenco di situazioni personali che dovranno continuare a essere tutelate: la cura dei figli, la proprietà della casa, la salute e l’istruzione, la previdenza complementare, il risparmio energetico e la riduzione del rischio sismico degli edifici” la cui “permanenza avrebbe la conseguenza di non ridurre significativamente l’erosione della base e di rendere più difficoltoso recuperare le risorse necessarie a coprire le minori entrate derivanti dalla riduzione dell’Irpef connessa con l’introduzione della flat tax o con altri interventi”. Discorso simile per le rendite catastali, che sarebbero da aggiornare, ribadisce via Nazionale, secondo cui l’onere tributario andrebbe spostato “dai fattori produttivi (lavoro e capitale) alle rendite e ai consumi“. Ma la nuova maggioranza – che ha fatto le barricate quando il governo Draghi ha tentato di mettervi mano – non ne vuole sapere: “Su questo punto il DDL non interviene, mentre sarebbe necessario rivedere e aggiornare tali valori, che tra l’altro influiscono sulla determinazione non solo dell’Irpef, ma anche di altre imposte (Imu, registro, successioni e ipocatastali)”.

Altre perplessità riguardano il già deciso ampliamento della flat tax al 15% per gli autonomi e gli altri regimi sostitutivi con aliquote differenziate (come l’imposta del 26% sui redditi finanziari, la cedolare secca sugli affitti): la loro estensione “potrebbe condurre a un risultato opposto all’intento dichiarato nel Ddl”, cioè “un peggioramento dell’equità e dell’efficienza del sistema; essa infatti accentuerebbe l’erosione della base imponibile, già aumentata in modo significativo nel corso degli ultimi decenni soprattutto per effetto di un processo di “cedolarizzazione” di alcuni imponibili”.

Fondamentale il capitolo che riguarda la lotta all’evasione. Visti i vincoli di finanza pubblica in un paese con debito sopra il 140% del pil, “l’obiettivo principale” della delega “dovrebbe essere quello di pervenire a una diversa ripartizione del prelievo complessivo”, ha ricordato Ricotti. E “sotto il profilo dell’equità ciò significherebbe ridurre il prelievo sui contribuenti in regola recuperando risorse con il contrasto all’evasione“. Fenomeno che “oltre che inaccettabilmente iniquo, distorce la concorrenza tra imprese e sottrae risorse che potrebbero essere utili anche ad alleggerire il carico tributario dei contribuenti in regola”. Per combatterla il governo sostiene tra l’altro di voler puntare ancora una volta sul “fisco amico” riproponendo il concordato preventivo biennale che vent’anni fa è stato un totale flop. Il giudizio di Bankitalia è che “non è possibile dire se la scelta di coinvolgere ex ante i contribuenti porterà a un rafforzamento o a un indebolimento della compliance”.

Seguono una serie di caveat e incongruenze, quelle di cui ilfattoquotidiano.it ha scritto a marzo: per pattuire con il contribuente un reddito congruo sul quale poi applicare il prelievo, nella delega si dice che verranno sfruttate “le informazioni ricavabili dagli indici sintetici di affidabilità (ISA)” e da tutte le banche dati a disposizione dell’amministrazione finanziaria. “Desta perciò perplessità la previsione, contenuta nella parte del DDL dedicata ai procedimenti dell’amministrazione finanziaria, di un graduale superamento degli ISA“, si legge nel testo. “Infatti, questo strumento permette all’amministrazione di ottenere diversi elementi informativi e le fornisce un primo orientamento sulla “affidabilità” dei contribuenti”. Non solo: “Alcuni contribuenti potrebbero essere spinti a un uso strumentale del regime, ad esempio favorendo l’abbattimento dell’imponibile delle proprie controparti commerciali attraverso sovrafatturazioni o fatture per operazioni inesistenti. Per evitare comportamenti del genere, sarà determinante il mantenimento di un’adeguata attività di controllo”.

Infine, in tema di evasione e frode dell’Iva – su cui l’Italia continua ad avere il gap maggiore nella Ue – “il ddl non contempla misure specifiche e richiama in termini generali l’ampliamento della disponibilità di informazioni e di sfruttamento delle banche dati del fisco”. Gli interventi “appaiono in parte slegati da una logica complessiva di riforma, che assuma un carattere trasversale rispetto ai diversi ambiti dell’imposta suscettibili di revisione e ammodernamento; le modifiche sono piuttosto orientate a definire specifiche problematiche che avrebbero potuto essere affrontate con altre modalità normative”.

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L’analisi di via Nazionale: “Gli studi sulla flat tax? Concordano solo nel dire che ha effetti negativi su redistribuzione e disuguaglianza”

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