È scontro tra la Lega e Fratelli d’Italia sul disegno di legge sull’autonomia differenziata, dopo il dossier critico dell’Ufficio Bilancio del Senato – diffuso dall’account LinkedIn di palazzo Madama e poi definito “una bozza provvisoria” – secondo cui il provvedimento aumenterebbe le disparità territoriali tra regioni. Il capogruppo alla Camera del Carroccio, Massimiliano Romeo, ha parlato di “colpo basso” e di “manine”, alimentando i sospetti verso Fratelli d’Italia, da sempre scettica sul federalismo. Suggestioni respinte dal partito di Giorgia Meloni: “Fratelli d’Italia non ha mai usato le manine, le nostre mani sono sempre ben in evidenza. Da parte nostra nessun pregiudizio sul processo federativo, che deve andare avanti insieme al rafforzamento delle istituzioni centrali, con l’elezione diretta del capo dello Stato o del premier”, ha detto mercoledì a Tagadà, su La7, il vicepresidente della Camera Fabio Rampelli. Il giorno dopo, intervistato dal Corriere, il presidente del Senato Ignazio La Russa ribadisce: “Non c’è alcuna manina. Si è trattato di un puro errore. Non c’è nessun retroscena di valenza politica. Era un dossier come tanti che per errore è stato pubblicato prima che venisse licenziato dagli uffici. I dossier sono spesso così, mettono sempre in evidenza anche le criticità. Non sono mai elogiativi. Non servono a dire: “Oh quanto è bella questa legge”. Semmai, trattandosi del Servizio del Bilancio, mi sarei aspettato più attenzione ai numeri, piuttosto che ad altre valutazioni”, aggiunge.

Sulla Stampa, però, il presidente del Veneto Luca Zaia avverte gli alleati: “L’accordo sull’autonomia è uno dei pilastri di questa maggioranza, insieme al presidenzialismo e alcune altre riforme. Se non passasse verrebbe meno l’oggetto sociale della maggioranza. E oggi non ho nessuna ragione di pensare che con serietà non si affronti il tema”, dice il governatore leghista. E critica il dossier del Senato: “Io credo che si sia sorpassato il limite della relazione tecnica: qui ci sono giudizi più politici che tecnici e la prova provata è che fior fiore di accademici e studiosi sostengono esattamente il contrario. Io ho rispetto per il lavoro di tutti, ma se di lavoro professionale dobbiamo parlare, allora vorrei vedere da dove hanno tratto i dati su cui basano le loro considerazioni”. Il primo ad attaccare il documento era stato il padre del ddl, il ministro leghista delle Autonomie Roberto Calderoli, parlando di rilievi su “criticità non oggettive, ma meramente ipotetiche”: “Era prevedibile che i palazzi e gli interessi del centralismo cercassero di intromettersi, utilizzando qualsiasi tipo di strumento” per boicottare la riforma, ha detto. Parlando con il Fatto, però, il presidente della Commissione Affari costituzionali Alberto Balboni (FdI) gli ha mandato un messaggio preciso: “Ognuno deve rispettare i suoi ruoli, lui ha firmato il disegno di legge ed è la posizione del governo. Noi siamo il Parlamento e possiamo modificarlo se non ci piace”. Anzi, “rivoltarlo come un calzino. La partita è appena iniziata.

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