Gli studi sui vantaggi della tassa piatta per quanto riguarda crescita, gettito, riduzione dell’evasione e semplificazione arrivano a conclusioni discordanti tra loro. L’unico argomento su cui le ricerche “mostrano una certa convergenza è quello a sfavore della flat tax, ovvero le conseguenze su redistribuzione e disuguaglianza“. Il verdetto non è sorprendente ma arriva da una fonte super partes, la Banca d’Italia. In coda al testo dell’audizione di Giacomo Ricotti sulla delega fiscale c’è infatti un’istruttiva appendice che, oltre a spiegare come solo 14 Paesi al mondo applichino al momento un’unica aliquota sui redditi delle persone fisiche, passa in rassegna le evidenze sugli effetti di questo sistema di tassazione propugnato in Italia da Lega e FI. Secondo cui si finanzierebbe da solo grazie all’aumento del pil e dunque delle entrate fiscali: il cosiddetto effetto Laffer, dal nome dell’economista che convinse l’allora candidato repubblicano alle elezioni presidenziali del 1980, Ronald Reagan, a ridurre le imposte dirette.

Cosa c’è di vero? In concreto nulla, spiega Bankitalia. “Per quanto riguarda i vantaggi, gli studi effettuati non portano a conclusioni univoche e concordanti”. Del resto “la limitata importanza che in questi paesi (dal Belize all’Uzbekistan ndr) già aveva il prelievo sulle persone fisiche rende poco plausibile che cambiamenti nello stesso possano avere avuto effetti considerevoli sull’economia nel suo complesso”. Trarre indicazioni chiare è difficile anche perché l’effetto della flat tax andrebbe isolato da quello dei più ampi programmi di riforma che quasi sempre ne hanno accompagnato l’introduzione e perché nei casi di studio l’aliquota unica è stata applicata “per lo più in anni di crescita e globalizzazione dell’economia, con consistenti flussi di investimenti transfrontalieri”. Per quanto riguarda l’incentivo alla crescita, le evidenze sono limitate all’aumento dell’occupazione regolare in alcuni paesi (Estonia e Slovacchia), che “almeno in parte” dipenderebbe dalla flat tax in quanto fattore di riduzione del costo del lavoro, ma in altri (Repubblica Ceca) non si sono registrati effetti significativi. E soprattutto “limitati incrementi di produttività sarebbero stati riscontrati nel maggior paese che ha adottato tale imposta, la Russia”. Che peraltro durante la pandemia ha abbandonato l’aliquota unica.

Quanto agli effetti sul gettito, “appaiono di segno non univoco, con dinamiche opposte nei vari paesi e con diverse possibili spiegazioni”. Il ruolo nella riduzione dell’evasione? “Incerto”, perché “in alcuni paesi – comunque una minoranza – si sono registrati aumenti di gettito conseguenti a riduzione dell’attività sommersa, anche se a volte non permanenti; restano comunque dubbi sul fatto che essi siano da ricondurre alla flat tax e non ad altri fattori, quali iniziative più ampie sul costo del lavoro, un clima più favorevole alle imprese o altri interventi di carattere tributario”. E in Russia “gli studi non sono stati in grado né di accertare una maggiore “moralità” fiscale, né di separare l’effetto sull’incremento del gettito dovuto all’aliquota proporzionale da quello riconducibile ad altre riforme tributarie adottate contemporaneamente”.

Ma almeno, si dirà, con un’unica aliquota il sistema fiscale è più semplice. No: “Molti sistemi flat mantengono minimi esenti, deduzioni e detrazioni, che costituiscono un elemento di complicazione non dissimile da quello connesso con una pluralità di scaglioni e aliquote“. Peraltro, la complessità di un sistema tributario non può essere valutata su una sola imposta, “per quanto rilevante per numero di contribuenti e “visibilità impositiva”: nel caso dell’Ungheria, la riduzione del gettito rilevata con l’introduzione della “tassa piatta” ha indotto il governo a introdurre prelievi minori compensativi, complicando il sistema”. E nella Repubblica Ceca “la flat tax non sembra aver ridotto la macchinosità amministrativa del sistema”.

C’è però un fronte su cui in effetti emerge un dato solido. Che non piacerà a Matteo Salvini: “L’unico argomento su cui le ricerche mostrano una certa convergenza”, scrive Bankitalia, “è quello a sfavore della flat tax, ovvero le conseguenze su redistribuzione e disuguaglianza: effetti negativi su questi due aspetti sono stati accertati in alcuni paesi, come la Bulgaria. In altri, come l’Estonia o la Slovacchia, sono stati evitati o attenuati dall’ampliamento di minimi esenti, deduzioni o detrazioni, personali e di spesa, non senza però un costo per l’erario e al prezzo di allontanarsi sensibilmente dal modello base della flat tax”.

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Bankitalia stronca la flat tax: “Poco realistica in un Paese con ampio welfare”. La delega fiscale? “Fa perdere gettito. E il catasto va rivisto”

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