La vicenda della preside Daniela Lo Verde, della scuola palermitana intitolata al magistrato Giovanni Falcone, non mi coglie di sorpresa, non già in riferimento al fatto specifico, ma in generale per pregresse vicende analoghe. Non posso qui non citare altri casi, come quelli dell’ex presidente di Confcommercio di Palermo Roberto Helg, dell’ex presidente Confindustria siciliana Antonello Montante e, infine, dell’ex giudice Silvana Saguto. Ci sono stati altri casi meno eclatanti, anche in Calabria. E’ anche vero che pure l’ambito del mio ex lavoro non è rimasto immune da episodi simili, come del resto in altri gangli della società.

Insomma, talvolta delinquere per alcuni “è bello!”. L’episodio della scuola Falcone, dovrebbe farci riflettere sul variopinto mondo dell’antimafia. Spesso, questa semplice parola tanto abusata – che da sempre odio non condividendola – rappresenta il trampolino di lancio per carriere o per interessi pecuniari. E, quindi, mi vien da dire con riferimento alla vicenda della preside, che siamo di fronte a un’ “associazione per arte culinaria”, attese le accuse e i soggetti coinvolti. Nei fatti di specie, la parolina magica onestà, si è persa tra i banchi di scuola, anzi tra le cucine degli interessati.

Sono, da sempre un amante della presunzione d’innocenza, ma leggendo le accuse del Gip, che ha posto ai domiciliari, sia la preside che il suo vice, sembrano eloquenti. Infatti, gli indagati sono stati intercettati con sistemi audio visive. Tuttavia, occorre attendere le risultanze processuali. L’onestà è una virtù che non si può comprare online o in un supermercato: l’onestà è dentro di ognuno di noi e mi spiace davvero quello che è successo in danno di piccoli studenti.

Sono anni e anni che semino legalità nelle scuole e mai e poi mai ho accettato gettoni di presenza (a gennaio una sindaca lombarda mi ha offerto, oltre le spese di viaggio, trecento euro per due ore di “lezione” ai ragazzi delle medie. Non ho accettato i soldi). Non ho mai mercificato e mai lo farò il mio impegno verso gli studenti. Ho rinunciato persino ai miei diritti d’autore di un libro che ho scritto insieme a un giornalista palermitano (non cito il titolo), devolvendoli alla Casa di Paolo Borsellino, per aiutare i ragazzi della Kalsa. E che dire del netto rifiuto di 65milioni di lire offerte da un mafioso per non essere arrestato? Episodio è del 1983. Il soggetto è ancora al 41bis. Ma io non sono insignito di Cavaliere della Repubblica.

Tantissimi anni fa un senatore dell’antimafia, voleva segnalarmi per il cavalierato, gli risposi che se l’avesse fatto, non l’avrei più salutato. Mi sento gratificato e pago, quando incontro ragazzi che hanno assistito alle mie lezioni di mafia, che mi salutano con un semplice: “Ciao Pippo”.

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Codice Antimafia, il quadro normativo in vigore dal 2021 ha depotenziato un’arma letale

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