Mafie

Interdittive antimafia, il boom dell’Emilia Romagna: aumentano del 120% mentre nel resto del Paese diminuiscono di un terzo

A livello nazionale il drastico calo delle comunicazioni e le informazioni antimafia è collegabile (da 2.078 a 1.495) anche all’entrata in vigore delle nuove norme che tutelano maggiormente le aziende ma allungano i tempi e allargano gli elementi discrezionali di valutazione. Eppure c’è una regione in controtendenza: l’Emilia Romagna

Sono 1.495 le interdittive antimafia in Italia nel 2022, contro le 2.078 del 2021. Un calo consistente, pari al 28,1%. Quasi un terzo in meno. Eppure c’è una regione in controtendenza: l’Emilia Romagna. Qui le comunicazioni e le informazioni antimafia firmate dalle prefetture provinciali sono state complessivamente 266 nel 2022, contro le 121 del 2021: +120%. Più di una interdittiva su sei del paese arriva dall’Emilia Romagna. Sono numeri piuttosto impressionanti che trovano spiegazione in almeno due considerazioni.

A livello nazionale il drastico calo delle interdittive è collegabile, in primo luogo, all’entrata in vigore delle nuove norme previste dalla legge 233 del 2021, che al titolo IV prevede “Investimenti e rafforzamento del sistema di prevenzione antimafia”. Più che rafforzare il sistema di prevenzione quelle norme, inserite nel Codice Antimafia, rischiano di ostacolarlo, introducendo il “contraddittorio” e la “prevenzione collaborativa” nella fase di rilascio della interdittiva. La prima norma prevede che le imprese interessate abbiano un termine di venti giorni per inoltrare osservazioni o chiedere una audizione. Entro due mesi la società può apportare le modifiche necessarie a scongiurare l’interdittiva e la procedura si può concludere con l’adozione da parte del Prefetto della cosiddetta “prevenzione collaborativa”. In questo caso l’azienda può continuare ad operare per altri 12 mesi sotto lo stretto controllo dell’autorità statale, partendo dal presupposto che il pericolo di infiltrazione mafiosa sia temporaneo, occasionale, o vi si possa porre rimedio.

Le aziende sono certamente più tutelate ma i tempi si allungano e gli elementi discrezionali di valutazione si allargano. L’Emilia Romagna fa invece storia a sé soprattutto grazie al grande lavoro della prefettura di Reggio Emilia che nel 2022 ha emesso 106 interdittive, quasi la metà di quelle dell’intera regione. Il Prefetto Iolanda Rolli (nella foto), ormai prossima alla pensione, spiega questo forte incremento con il recupero di numerose pratiche sospese del passato. Segno che anche nelle prefetture i risultati sono legati all’impegno e al rigore dei funzionari. Ma anche alle tante indagini sfociate in processi, da Aemilia a Grimilde, da Perseverance a Billions, che hanno consentito di puntare i fari su una miriade di società operanti nel territorio potenzialmente infiltrate dalla ‘ndrangheta calabrese. La dottoressa Rolli parla di “moderni e più precisi metodi di analisi del contesto” adottati dalla sua prefettura. E i risultati sono sotto gli occhi di tutti.

Che l’Emilia Romagna faccia scuola nel male (‘ndrangheta economica profondamente radicata) e nel bene (azioni di contrasto repressivo della Dda e preventivo delle prefetture), lo sottolinea anche il primo presidente della suprema Corte di Cassazione nella sua relazione di apertura dell’anno giudiziario. Il dott. Pietro Curzio parla di due “successi di Stato” negli ultimi dodici mesi: la cattura di Matteo Messina Denaro e la sentenza in giudicato del processo Aemilia. L’accostamento non è solo temporale e Curzio individua nelle due vicende il tratto comune della “mafia degli affari” che si infiltra nel tessuto socio economico. Il capo di Cosa nostra che ha sfruttato i legami con l’imprenditoria e la politica a protezione della propria latitanza e la potente cosca cutrese figlia di Nicolino Grande Aracri che ha cambiato il volto della ‘ndrangheta nella sua infiltrazione al nord. Presentandosi come un operatore del mercato affidabile, efficiente, in grado di sbaragliare la concorrenza.

La stessa Corte di Cassazione il 20 ottobre 2022, depositando le motivazioni della sentenza di Aemilia, sottolineava con una nota stampa la “natura autonoma del gruppo criminale emiliano di ‘ndrangheta”. Un gruppo “supportato da un’ampia dotazione di uomini e mezzi, finalizzato ad accrescere il controllo sul territorio in settori nevralgici del tessuto imprenditoriale emiliano, quali gli autotrasporti e l’edilizia, anche attraverso il riciclaggio di capitali illeciti. Nell’arco decennale di attività, l’associazione mafiosa ha compiuto una progressiva evoluzione strutturale, passando dagli schemi tradizionali della ‘ndrangheta verso un più sofisticato metodo di penetrazione criminale nel tessuto sociale, contraddistinto anche dalla prospettiva di realizzare progetti dominanti in svariati settori imprenditoriali e della società civile”. Merito della grande indagine coordinata dai sostituti procuratori antimafia Marco Mescolini e Beatrice Ronchi avere portato a processo questo nuovo sistema di penetrazione criminale e alla condanna i suoi ideatori.