Dicono che Giorgia Meloni sia una che studia. Una politica cresciuta documentandosi e studiando i dossier. Eppure ieri, per replicare nell’aula del Senato a Roberto Scarpinato, la presidente del consiglio è inciampata su un doppio macroscopico errore. Nel suo intervento l’ex procuratore generale di Palermo, eletto a Palazzo Madama dal Movimento 5 stelle, aveva contestato il fatto che Fratelli d’Italia abbia eletto a sue figure di riferimento “protagonisti del neofascismo“, facendo il nome di Pino Rauti, fondatore del Centro Studi Ordine Nuovo e padre di Isabella, appena nominata capogruppo del partito di Meloni al Senato. Scarpinato aveva pure ricordato che nell’aprile scorso il deputato di Fdi Federico Mollicone ha “organizzato un convegno dedicato al generale Gianadelio Maletti, capo del reparto controspionaggio del Sid negli anni ‘70, condannato con sentenza definitiva a 18 mesi per favoreggiamento dei responsabili della strage di Piazza Fontana”. Il neo senatore dei 5 stelle ha poi citato la condanna in via definitiva per concorso esterno alla mafia di uno dei fondatori di Forza Italia, cioè Marcello Dell’Utri, anche se con qualche difficoltà visto il battibecco sorto proprio in quell’istante col presidente Ignazio La Russa, relativo al tempo d’intervento.

Come ha replicato Meloni alle affermazioni di Scarpinato? Non ha replicato, o meglio non ha risposto ad alcune delle affermazioni fatte dall’ex magistrato. Ha preferito attaccare il senatore dei 5 stelle, ma per farlo ha citato due fattispecie false. Intanto perché, rivolgendosi all’ex pg di Palermo, lo ha definito “una persona che ha avuto la responsabilità di giudicare gli imputati nelle aule di tribunale”. Eppure Scarpinato nella sua lunga carriera mai ha giudicato alcun imputato. Non ha mai vestito i panni del magistrato giudicante, ma sempre quelli del requirente: è stato sostituto procuratore e procuratore aggiunto a Palermo, procuratore generale nel capoluogo siciliano e a Caltanissetta. Mai giudice, mai gip o gup, mai consigliere o presidente di tribunale, Corte d’Assise, d’Appello o di Cassazione. Una differenza sostanziale, che Meloni dovrebbe in teoria conoscere bene visto che tra le priorità indicate dal suo guardasigilli Carlo Nordio c’è la separazione delle carriere. In questo senso si può dire che Scarpinato potrebbe essere citato dal nuovo governo come esempio di magistrato che, pur potendolo fare, non ha mai ricoperto entrambe le funzioni.

Ancora più clamoroso l’errore compiuto da Meloni poco dopo, quando per attaccare Scarpinato ha tirato in ballo addirittura il depistaggio delle prime indagini sulla strage di via d’Amelio. Dopo aver accusato l’ex magistrato di avere “un approccioio smaccatamente ideologico” – locuzione che andava molto di moda ai tempi del governo Berlusconi – la premier ha sostenuto che “l’effetto transfert che lei ha fatto tra neofascismo, stragi e sostenitori del presidenzialismo è emblematico dei teoremi con cui parte della magistratura ha costruito processi fallimentari, a cominciare dal depistaggio nel primo giudizio per la strage di via d’Amelio“. Un passaggio che ha scaldato i banchi del governo e quelli di centrodestra, coi senatori che si sono spellati le mani per applaudire Meloni, soprattutto quando la capa del governo ha chiuso la sua controreplica a Scarpinato con: “E questo è tutto quello che ho da dirle“. Un po’ poco, verrebbe da aggiungere. E infatti in serata Scarpinato ha sottolineato che “la Presidente Meloni non è stata in grado di replicare a nessuno dei fatti documentati da me indicati. E non avendo argomenti di replica ha commesso l’ulteriore errore di citare il processo di Via D’Amelio dimostrando di ignorare che io sono stato il procuratore generale che ha chiesto e ottenuto la revisione del processo per la strage”.

In effetti tra tutti gli attacchi che la premier poteva fare all’ex procuratore generale di Palermo, infatti, il depistaggio della strage di via d’Amelio è probabilmente quello che maggiormente manca il bersaglio. Delle indagini sull’omicidio di Paolo Borsellino, infatti, si occupò sin dal 19 luglio del 1992 la procura di Caltanissetta. Il depistaggio maturato con le bugie del falso pentito Vincenzo Scarantino cominciò nel 1994, quando lo stesso Scarantino cominciò a collaborare con la magistratura. I due processi nati dalle dichiarazioni fasulle del balordo del quartiere Guadagna – il Borsellino 1 e il Borsellino bis, quelli che poi furono oggetto di revisione – si conclusero in via definitiva nel 2003: in tutto questo periodo Scarpinato non ha mai lavorato a Caltanissetta, visto che svolgeva il suo ruolo di pm a Palermo. Procura che, tra l’altro, già all’epoca non aveva considerato credibili le dichiarazioni di Scarantino. Scarpinato sarà nominato procuratore generale della città nissena solo nel 2010 e in questa veste, l’anno dopo, darà inizio al procedimento che svelerà definitivamente il depistaggio, sanandone i suoi effeti. Nel frattempo, infatti, aveva cominciato a collaborare con la magistratura Gaspare Spatuzza, che aveva ricostruito tutta la fase esecutiva della strage, smentendo completamente le false dichiarazioni di Scarantino. È a quel punto che Scarpinato ha chiesto e ottenuto la revisione dei processi Borsellino 1 e bis, per scagionare 11 persone: 7 erano state condannate all’ergastolo per la strage, 4 a pene inferiori, nonostante fossero completamente innocenti.

Dunque quello che ha detto Giorgia Meloni al Senato è falso: Scarpinato non ha alcuna responsabilità su quella che la corte d’Assise di Caltanissetta ha definito “uno dei più gravi depistaggi della storia giudiziaria italiana“. Anzi al contrario è uno dei magistrati che ha maggiormente contribuito a rimettere l’iter giudiziario sui binari giusti. Strano che la leader di Fratelli d’Italia non lo sapesse, visto che racconta da sempre di essere particolarmente legata alla figura di Borsellino: anche nel suo dicorso alla Camera, due giorni fa, ha ricordato di aver iniziato a fare politica proprio dopo la strage di via d’Amelio.

E dire che negli ultimi tempi le vicende relative al depistaggio Borsellino sono tornate a meritare l’attenzione della cronaca. Il 12 luglio scorso, a pochi giorni dal trentesimo anniversario della strage, si è concluso il quinto processo legato alle vicende relative all’uccisione di Borsellino: dei tre poliziotti accusati di calunnia per aver indotto Scarantino a mentire, due sono stati prescritti mentre uno è stato assolto. Sul fronte delle toghe, invece, sono soltanto due i magistrati che in passato sono stati indagati per il depistaggio: si chiamano Carmelo Petralia e Anna Maria Palma, sono stati entrambi ex pm a Caltanissetta ai tempi della collaborazione di Scarantino, sono stati archiviati da ogni accusa nel febbraio del 2021. Proprio al Senato – teatro dello scontro tra Meloni e Scarpinato – ha lavorato in passato Palma, che tra il 2008 e il 2013 ricopriva il ruolo di capo di gabinetto dell’allora presidente di Palazzo Madama, Renato Schifani. Lungamente indagato e poi archiviato per concorso esterno a Cosa nostra, proprio Schifani è il politico sul quale ha puntato il partito di Meloni per vincere le regionali in Sicilia.

Articolo Successivo

Scarpinato, provo vergogna per le parole di Meloni e per la standing ovation della destra

next