È stato di recente pubblicato, ed è liberamente scaricabile, il testo La Strategia di Bioeconomia è sostenibile? Territori, impatti, scenari a cura della Prof.ssa Margherita Ciervo. Si tratta di un lavoro multidisciplinare con contributi di numerosi autori, compresa la sottoscritta per quanto attiene gli aspetti sulla salute umana.

Il testo rappresenta un ulteriore impegno dell’Osservatorio Interdisciplinare sulla Bioeconomia, di cui già in passato avevo parlato su questo blog, ed è di grande attualità perché tiene conto sia della accelerazione dei processi di innovazione indotti dalla pandemia da Covid-19 che dei cambiamenti introdotti nel nostro paese dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), specie per quanto attiene la spinta alla digitalizzazione.

A fronte della profonda crisi che stiamo attraversando e che coinvolge ogni aspetto della nostra vita (economico, sociale, ambientale, sanitario) ed ora più che mai aggravata dai venti di guerra, credo sia oltremodo importante fermarsi e riflettere, valutando in modo lucido le soluzioni prospettate dalla Commissione Europea con la sua Strategia per la Bioeconomia, stilata nel 2012, rivista nel 2017 e aggiornata nel 2018.

Ricordo che la Strategia di Bioeconomia dell’Ue, già nel 2012, si poneva l’obiettivo di riconciliare la sicurezza alimentare con l’uso sostenibile delle risorse rinnovabili per fini industriali, tutelando l’ambiente. Questi obiettivi sono purtroppo ben lontani dall’essere raggiunti perché le soluzioni proposte – dall’agricoltura alla produzione di energia alle comunicazioni – appaiono accomunate da un approccio tecnocentrico, caratterizzato dall’utilizzo di alta tecnologia e digitalizzazione, ma con una visione parcellizzata e in definitiva miope e, ancora una volta, purtroppo, nel solco di quella scienza ‘riduzionista’ di cui ormai ben conosciamo i limiti.

Il presunto “cambiamento” si concentra, ad esempio, sulla sostituzione delle fonti fossili con fonti organiche e/o verdi, quali ad esempio le “biomasse”, ma che sono ben lungi dal produrre reali benefici sia all’ambiente che alla salute umana; così pure la digitalizzazione richiede un enorme consumo di energie e materie prime rare e non rinnovabili e le ricadute sulla salute umana dei campi elettromagnetici non sono certo riconducibili ai soli effetti termici acuti, i soli di cui purtroppo a tutt’oggi si tiene conto.

Purtroppo viviamo in una società in cui la mistificazione la fa da padrona e ciò riguarda innanzitutto l’utilizzo delle parole e, conseguentemente, delle politiche che – come scrive Ciervo nel suo capitolo introduttivo – “lungi dal rappresentare il cambio di paradigma necessario, sono funzionali all’ideologia neoliberista, riproponendo in ‘salsa verde’ utilitarismo, estrattivismo, produttivismo, consumismo e sviluppismo che caratterizzano l’economia fossile”.

Ancora una volta rischiamo di passare “dalla padella alla brace”. La tanto sbandierata “innovazione”, specie digitale, verso cui sempre più velocemente ci stiamo dirigendo, al di là dell’impatto ambientale che produce, sembra costituire una forma più raffinata, ma non per questo meno pericolosa, di sudditanza e di controllo sociale. È infatti difficile credere che coloro che hanno indotto la gran parte dei guai in cui ci stiamo dibattendo siano anche coloro in grado di fornire le soluzioni giuste.

Mi auguro che questo testo possa offrire utili spunti di riflessione specie a tutti coloro che, in questi tempi così complessi ed inquietanti, sono alla ricerca di soluzioni in grado di “riconciliare” le attività umane con tutti gli altri ecosistemi, in una visione davvero olistica e rispettosa dell’originale concetto di Bioeconomia, come proposto da Gerogescu Roegen e inteso come un’economia compatibile con la vita e le leggi della natura, finalmente consapevoli che “esiste una sola salute” e che in un pianeta “malato” e in una società con sempre maggiori diseguaglianze e conflitti non può esserci salute per nessuno.

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