Da un lato la formazione del governo, messa a rischio dalla crisi diplomatica tra alleati. Dall’altro la partita – ricca di incognite – sulle vicepresidenze delle Camere e le presidenze delle Commissioni di garanzia. La settimana che si apre sarà decisiva sia per la (probabile) futura maggioranza sia per le varie opposizioni in cerca di un assetto stabile. Lunedì, per prima cosa, si ufficializzeranno gli attori in campo con la costituzione dei gruppi parlamentari (che indicheranno i propri rappresentanti nelle Commissioni). Martedì si eleggono i capigruppo, primi nomi a dare qualche indicazione sul domino di caselle da riempire nei giorni successivi: a partire da mercoledì, quando i due rami del Parlamento (alle 14 la Camera e alle 15 il Senato) si riuniscono per eleggere i rispettivi uffici di presidenza. Si tratta di quattro vicepresidenti, tre questori e otto segretari per ogni Camera, un insieme in cui – da regolamento – devono essere rappresentati tutti i gruppi: le più ambite sono le vicepresidenze, che per prassi si dividono a metà (due a testa) tra maggioranza e opposizioni. Giovedì 20 Mario Draghi rappresenterà per l’ultima volta l’Italia da premier al Consiglio europeo; per quello stesso giorno il capo dello Stato dovrebbe convocare le consultazioni, per concluderle entro venerdì 21, data in cui potrebbe arrivare l’incarico al nuovo presidente del Consiglio. La settimana successiva, infine, si voteranno i presidenti delle Commissioni, passaggio delicato soprattutto per quanto riguarda i due organi bicamerali la cui guida (per norme o per prassi) spetta all’opposizione: il Copasir (il comitato che sorveglia l’attività dell’intelligence) e la Commissione di Vigilanza Rai.

Nel centrodestra si tenta di calmare le acque dopo il caos dei giorni scorsi, con il mancato voto di Fi a Ignazio La Russa per la presidenza del Senato (eletto solo grazie al soccorso dell’opposizione) e poi la zuffa tra Silvio Berlusconi e Giorgia Meloni nata dai giudizi tranchant che l’ex premier ha riferito alla leader di FdI nei propri appunti. Il tutto dovuto alle resistenze di Meloni ad accontentare alcuni desiderata dell’uomo di Arcore sulla lista dei ministri (un posto a Licia Ronzulli ed Elisabetta Casellati alla Giustizia). Sembra tramontato lo scenario peggiore, cioè che gli azzurri si presentino alle consultazioni in autonomia dagli alleati, magari facendo il nome di un premier diverso da Meloni: il capogruppo uscente Paolo Barelli ha negato l’ipotesi al Corriere, mentre Guido Crosetto giura che “nessuno vuol fare un governo senza Forza Italia”. Di certo però Berlusconi non farà la pace gratis. E un primo risarcimento potrebbe arrivare proprio con le vicepresidenze: poiché Fi non ha avuto nessuno degli scranni più alti, è probabile che le spettino due poltrone su quattro (a Montecitorio si fanno i nomi di Alessandro Cattaneo e Giorgio Mulè, al Senato quello di Maurizio Gasparri). Difficile che una vada a Licia Ronzulli (servirebbero anche i voti meloniani): per la regina del cerchio magico di B. l’incarico designato è quello di capogruppo al Senato. La restante vicepresidenza della Camera toccherebbe a FdI (con Tommaso Foti), quella del Senato alla Lega (con Andrea Ostellari).

Molto più interessante il rebus interno all’opposizione. Ai quattro posti da vice possono aspirare almeno in tre: Pd, Movimento 5 Stelle e AzioneItalia viva. Da giorni renziani e calendiani gridano all’inciucio per escluderli dalla partita, sostenendo che dem e pentastellati vogliano occupare tutte le caselle. Anche fosse, però, non è detto che basti l’accordo tra di loro. Per garantire le opposizioni, infatti, i regolamenti delle Camere prevedono il cosiddetto “voto limitato“: si possono indicare nomi solo per la metà dei posti da eleggere (due vicepresidenti su quattro, un questore su tre, quattro segretari su otto). Ma poiché la maggioranza è unita, mentre l’opposizione è spaccata in tre, basterebbe che il centrodestra dividesse a metà i propri voti per far passare quattro nomi alla Camera e quattro al Senato, superando i candidati comuni di Pd e 5 Stelle. Oppure – ed è l’ipotesi più probabile – potrebbe dirottare una parte dei propri numeri per eleggere il candidato di opposizione più “gradito“, magari proprio quello di Azione e Italia viva, che alla Camera potrebbe essere Maria Elena Boschi e al Senato Mariastella Gelmini. Lo stesso gioco può ripetersi anche nelle Commissioni di garanzia, il cui presidente si elegge a maggioranza semplice: in particolare al Copasir, che ieri Matteo Renzi ha fatto capire essere il suo vero obiettivo (e per cui si parla dell’attuale ministro della difesa Lorenzo Guerini, a capo della corrente più “renziana” del Pd). Osservare queste dinamiche, dunque, sarà fondamentale anche per capire da dove venivano gli almeno 17 voti di opposizione che hanno fatto eleggere La Russa alla presidenza di palazzo Madama.

Per tutti i partiti, in ogni caso, l’individuazione dei candidati alla vicepresidenza è strettamente legata a quella dei capigruppo. L’unica forza ad averli già annunciati è quella di Renzi e Calenda: saranno Matteo Richetti alla Camera e Raffaella Paita al Senato. Nel Movimento 5 Stelle, a Montecitorio i nomi in pole per entrambe le cariche sono quelli di Chiara Appendino e Sergio Costa (ma alla vicepresidenza potrebbe andare anche Vittoria Baldino); a palazzo Madama, invece, Mariolina Castellone resterà capogruppo e per la vicepresidenza si parla del ministro uscente Stefano Patuanelli. Il M5s aspira anche alla presidenza della Vigilanza Rai, ruolo già occupato con Roberto Fico nella prima legislatura in Parlamento: il nome in questo caso sarebbe Ettore Licheri (che però, da avvocato, è un profilo buono anche per il prossimo Csm). In casa dem nei giorni scorsi è circolata l’ipotesi di proporre – come vice dell’ultraconservatore Lorenzo Fontana – il deputato padre della proposta di legge sull’omotransfobia, Alessandro Zan. Soluzione che però fa storcere il naso a molti all’interno del partito, che la considerano una promozione troppo improvvisa. Per la vicepresidenza di Montecitorio sono in prima fila Debora Serracchiani e Nicola Zingaretti, per quella del Senato Anna Rossomando (che sarebbe confermata), e Valeria Valente. Gli stessi nomi se la giocano per il ruolo di capogruppo: è possibile che Letta scelga di “congelare” le uscenti Serracchiani e Malpezzi nei rispettivi ruoli fino al congresso, per far scegliere le successore al nuovo segretario.

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