di Andrea Vivalda

Spero di non suscitare l’interesse del Copasir o di qualche “giornalone” citando un russo, ma se l’argomento è il gas naturale ritengo che, da grandi produttori mondiali quali sono, sul tema siano piuttosto sul pezzo. Parliamo dunque di Alexei Miller, amministratore delegato di Gazprom, il quale, commentando alcuni anni fa in un’intervista la tecnica del “fracking” utilizzata per l’estrazione del gas, riferiva così: “Porta inevitabilmente a danni ambientali. A parte gli enormi consumi di acqua questo metodo produttivo può causare l’inquinamento delle acque sotterranee e anche provocare attività sismica”. Ma allora perché loro ne estraggono così tanto?

In primis la sensibilità ambientale non si può dire sia una forte priorità nella politica russa; ma soprattutto, lo estraggono dai loro sterminati e spopolati territori verso oriente, ben lontano da insediamenti urbani ad alta densità: non certo sotto Mosca o San Pietroburgo. In Italia invece le scorte di gas residue (a quanto affermano gli studi circa 80 milioni di metri cubi, ovvero il consumo annuale italiano di un solo anno) si trovano tutte sotto a territori altamente popolati e intensamente utilizzati, come ad esempio l’Emilia Romagna, oggetto nel 2016 di uno studio dell’Università di Napoli che ha confermato (non primo di innumerevoli studi scientifici condotti in tutto il mondo che convergono sulla conclusione) la relazione fra estrazione e attività sismica elevata nella zona.

Ciò vuol dire che i leader a caccia di voti, da Meloni a Letta (col silenzio surreale dell’alleato verde Bonelli) passando per Calenda e Salvini, che impazzano nei talk show rilanciando con leggerezza il roboante mantra “riaccendiamo le trivelle per il gas italiano” – come fosse la soluzione a tutti i nostri mali che i “cattivi” (M5s e Giuseppe Conte) non vorrebbero per capriccio – in realtà stanno dicendo che la loro proposta per affrancarsi dal gas russo consiste nel mettere a rischio le falde acquifere della pianura Padana e con loro la filiera agricola di eccellenza i cui prodotti esportiamo in tutto il mondo. Consiste nel rischiare di provocare eventi sismici importanti in un’area fortemente urbanizzata, già ad alto rischio, e che già ha pagato fin troppo in termini di eventi severi; per giunta nello sprecare tonnellate d’acqua necessarie per il processo in un momento storico in cui d’estate ormai l’acqua viene razionata agli agricoltori.

Tutto questo per il “lauto” obiettivo di ottenere (se va bene) il gas per un anno: che sia forse che siamo di fronte a dei nuovi “migliori” versione 2.0? Ecco ora, che sia perché ignorano totalmente la questione non avendone studiato una cippa né interpellato un esperto o che invece siano informati ma la utilizzino in malafede come slogan elettorale fascinoso cavalcando il terrore dei cittadini per i razionamenti d’autunno a costo di prenderli in giro, in entrambi i casi pare abbastanza grave che al posto di progetti e idee realizzabili, da destra a centrosinistra in blocco i candidati leader facciano ancora campagna elettorale a colpi di soluzioni mirabolanti tacendone l’inutilità, il rischio e la conseguente infattibilità. Per giunta denigrando quei pochi che – al contrario – menzogne di tal portata, per quanto potrebbero portare voti, preferiscono non usarle e sostituirle con idee e progetti fattibili anche a costo di rimanere fuori dal coro.

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