Chissà che la sobrietà energetica invocata da Draghi non sia applicabile anche alle grandi opere superflue. In tal caso Pedemontana, sulla quale è in arrivo un fiume di denaro come non se ne vedeva da tempo, dovrebbe quantomeno essere oggetto di moratoria. E chissà che invece, battute a parte, non sia realmente l’impennata del costo delle materie prime a mettere in discussione l’intero impianto. Vedremo. Per ora all’orizzonte c’è solo una gigantesca colata di asfalto. Così Regione Lombardia ha salutato il nuovo corso europeo verso la decarbonizzazione, riesumando un progetto studiato per la mobilità degli anni ’80. Ma ciò che colpisce è la sollecitudine della giunta Fontana, sconosciuta nella gestione di ben altre emergenze.

Riassumiamo. In piena pandemia la Regione ha messo sul piatto 350 milioni sbloccando finanziamenti per quasi 2 miliardi, su una delle opere più costose a antieconomiche della storia italiana. Lo ha fatto perfino assumendo il controllo dell’infrastruttura e, forte delle entrature leghiste nei ministeri che contano, è riuscita ad allentare i cordoni della finanza pubblica. Pensavamo che dopo le esperienze non proprio brillanti di Brebemi e Teem si sarebbe chiusa una stagione e che, al di là dei proclami, nessuno alla fine avrebbe puntato miliardi su un’opera tanto azzardata. E invece no.

Le grandi manovre sono iniziate nel luglio 2020 con il colpo di mano che ha scaricato su Ferrovie Nord Milano il pacchetto Serravalle in mano alla Regione. Ne avevo già parlato. Un’operazione rocambolesca che è costata a Ferrovie oltre 500 milioni di nuovo debito, come se non avesse già i suoi problemi, per consentire alla Regione di metterne 350 sulla sfortunata arteria e blindare così il capitale. Scaricato il rischio sui lombardi, non restava che aspettare il responso delle banche. Che arriva nell’agosto scorso, mettendo fine a un’impasse lunga 35 anni: 1,7 miliardi sui lotti B2 e C, da Lentate alla Tangenziale Est. Dunque Pedemontana si farà, stavolta per davvero.

Ma ancora una volta il grosso della somma non viene dai privati. Il 60% è infatti appannaggio di due banche pubbliche: Banca Europea per gli Investimenti (Bei) e Cassa Depositi e Prestiti (Cdp), dopo l’assegno da 1,2 miliardi già staccato dalla Stato (a fondo perduto), 800 milioni di defiscalizzazioni e 600 milioni di garanzie regionali sui finanziamenti. Curiosamente Cdp è oggi guidata dallo stesso Dario Scannapieco che, in veste di vicepresidente Bei, appoggiò le operazioni Brebemi e Teem. Il resto dei soldi arriva da un pool di cinque banche: Bpm, Intesa Sanpaolo, JP Morgan, Mps e Unicredit.

A beneficiare di tanta grazia sarà il colosso delle costruzioni Webuild che, in consorzio al 70% con Pizzarotti, incasserà 1,2 miliardi. E qui merita soffermarsi sulla solita girandola nostrana di conflitti di interesse. Solo per dirne una: parte rilevante delle azioni Webuild è in mano alla stessa Cdp (16,6%), seguita da Unicredit (5%) e Intesa Sanpaolo (4,7%), quest’ultima anche azionista di Pedemontana all’8%. Operazioni evidentemente distorsive del cosiddetto mercato, ma talmente diffuse sulle grandi opere da passare inosservate.

Intanto i numeri continuano a non tornare. Prendiamo il 2019, ultimo anno prima della pandemia: il traffico complessivo sulle tratte realizzate (A e B1) si attestava su 21.800 veicoli unici giornalieri a tre anni dall’apertura, contro i 28.000 previsti a un solo anno di esercizio (2° Atto aggiuntivo alla Convenzione). Per non parlare delle Tangenziali di Como e Varese, dove la forbice si allarga a dismisura: 24.000 veicoli, contro i 67.000 previsti. Inutile dire che la pandemia ha abbattuto ulteriormente i flussi, sui quali evitiamo pietosamente il confronto.

Insomma la situazione è drammatica e la Regione, che ha assunto la proprietà dell’infrastruttura, dovrebbe dire ai cittadini che eventuali (probabili) perdite dovranno pagarle loro, come anche gli effetti collaterali del consumo di suolo, per rimboccare i profitti di costruttori, banche e consulenti. Solo per la messa a punto del finanziamento sono stati coinvolti otto studi legali per somme complessive che ignoriamo, ma la filiera dell’asfalto è assai più lunga, articolata e costosa. Meno comprensibile è il tornaconto per la classe politica, che da un’opera del genere non può aspettarsi valanghe di voti. Uscendo dal caso in questione, non è un mistero che il mondo del cemento e dell’asfalto sia da sempre il primo foraggiatore dei partiti – tutto legale, fino a prova contraria – ma quanto e come ciò influenzi i cantieri è difficile dire. Certo aiuterebbe una legge seria sul finanziamento della politica che imponga trasparenza a tutto tondo, ma che gli stessi partiti si sono sempre guardati dal fare.

Nessun dubbio invece sulle ricadute dell’opera. L’impatto sul territorio sarà deflagrante, va detto a chiare lettere, su un ecosistema già provato come quello pedemontano. E non parliamo solo dei cantieri. Pure in assenza di traffico leggero, essa aprirà l’ennesimo corridoio logistico nella nostra regione. Brebemi insegna, con tutta la sua scia di capannoni e centri di stoccaggio. La Lombardia è una delle maggiori piazze logistiche d’Europa: l’intero settore (autotrasporto, magazzini e movimento merci) ammonta a quasi 22 miliardi di fatturato, mentre intorno a Milano transitano merci per 140 miliardi. Dal 2008 al 2018 il comparto è cresciuto a colpi del 5% all’anno e molte imprese non hanno smesso di crescere nemmeno in pandemia, complice l’impennata degli acquisti online (Camera di Commercio, Alsea, Liuc, 2020).

Il tema è decisivo e condizionerà molto delle prossime scelte infrastrutturali, drenando risorse verso colossi con sedi fiscali oltreconfine. E magari riesumando nuove opere energivore e anacronistiche, con buona pace della transizione ecologica.

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