Un deposito di rifiuti, ma anche la messa in sicurezza di un laboratorio scientifico. E poi lavori e servizi di manutenzione del patrimonio civile e industriale, ma anche delle aree verdi. Sono questi gli appalti “inquinati” dalla corruzione di funzionari del Cira (Centro italiano di ricerche aerospaziali Cira) di Capua (Caserta) che, secondo la ricostruzione della Dda di Napoli, in cambio del 5% sugli importi dei bandi di gara avrebbero favorito società segnalate dagli imprenditori Sergio e Adolfo Orsi, rispettivamente padre e figlio.

Il primo è considerato dagli inquirenti un “partecipe” al clan dei Casalesi con il ruolo specifico di infiltrarsi nelle pubbliche amministrazioni, è stato condannato in via definitiva nel 2019 per associazione a delinquere di stampo mafioso e turbata libertà degli incanti. Nella motivazione del verdetto veniva sottolineato che Orsi aveva collaborato con il clan camorristico come imprenditore nel campo della raccolta e del riciclo dei rifiuti, nonché socio della società Eco 4. Imprenditore quindi tra i principali artefici delle ecomafie tra gli anni ’90 e i primi anni duemila. Gli Orsi – Michele è stato ucciso nel 2008 a Casal di Principe da Giuseppe Setola – sono stati inseriti per anni in un patto per la spartizione politico-camorristica del business dei rifiuti e delle società miste con quella porzione dei Casalesi riferibili negli anni passati al boss Francesco Bidognetti. Orsi, secondo gli inquirenti dell’Antimafia, ha gestito per anni con il fratello, e per conto della famiglia Bidognetti, il Consorzio dei Rifiuti Eco4, rappresentandone il volto imprenditoriale, mentre politicamente il referente nel Consorzio era Nicola Cosentino. Sia Orsi che l’ex politico sono stati condannati al termine del processo Eco4, ma se per il primo la condanna definitiva è stata già scontata, Cosentino – cui sono stati inflitti 10 anni in secondo grado – deve ancora affrontare l’ultimo grado in Cassazione. Nel 2015 Sergio Orsi è finito nuovamente ai domiciliari e aveva reso diverse dichiarazioni agli inquirenti. Pur non avendo intestata più alcuna impresa, Orsi ha continuato a farne parte infiltrandosi negli appalti pubblici anche piccoli perché considerato “un modo per tornare nel giro“.

E infatti oggi la Dda gli contesta nuovamente di aver infiltrato appalti pubblici – del valore tra i 40mila e gli oltre 990mila euro – per conto del clan. Appena terminato il periodo di detenzione come rileva il giudice per le indagini preliminari, Isabella Iaselli, Orsi “si rimette in gioco” e nonostante le condanne subite in passato e anche le collaborazioni con la giustizia “non ha mai interrotto i suoi legami con il clan”. E della “personalità” di Orsi, secondo il gip, era “consapevoli” Vincenzo Filomena, progettista dell’Ufficio Tecnico del Cira e Carlo Russo, responsabile unico della procedura di scelta del contraente. Informazioni privilegiate e appalti assegnati di fatto senza una vera gara tra concorrenti. Per loro sono stati disposti gli arresti domiciliari. Come per Antonio Fago, 77 anni, che avrebbe fatto da intermediario tra la famiglia Orsi e Filomena e Russo per evitare contatti diretti. In carcere invece oltre al Sergio Orsi è finito Fabio Oreste Luongo, un altro imprenditore ritenuto dai pm Maurizio Giordano e Graziella Arlomede “colluso”. Il magistrato ha poi disposto l’obbligo nel comune di residenza per Adolfo Orsi, 40 anni (figlio di Sergio), Francesco Pirozzi, 53 anni, geometra dell’Ufficio Tecnico del Cira, e per Amedeo Grassia, 59 anni (intermediario). Infine, l’interdizione dall’esercizio dell’attività di impresa riguarda gli imprenditori Salvatore Orsi, 38 anni, Felice Ciervo, 30 anni e Fiore Di Palma, 52 anni.

Tra gli appalti finiti nel mirino c’è quello per i lavori per la messa in sicurezza e per l’effettivo riutilizzo dello “spazio deposito di cantiere Lisa” ovvero Laboratorio per prove di impatto di strutture aerospaziali. Si tratta di un impianto, come si legge sul sito del Cira, “in grado di eseguire dei crash test ad alta energia in acqua, su cemento o su suolo soffice, non con modelli in scala, ma con velivoli a grandezza naturale, assicurando una traiettoria guidata dell’oggetto di prova”. Un appalto piccolo da soli 40mila euro rispetto a quelli cui Orsi puntava maggiormente come la gara sul verde per oltre 990mila euro oppure quella per il “capitolato speciale di appalto relativo a lavori e servizi di manutenzione” pari a 600mila euro. E che fossero piccoli o grandi gli appalti era importante per i funzionari considerati corrotti dai pm e dal gip. Come si evince da una intercettazione tra Orsi e il figlio Adolfo le percentuali da assegnare variavano dal 5% al 10% per quelli piccoli e tra 2-3% per quelli più grandi. Quando Adolfo commenta che gli sembra troppo grande la percentuale, il padre risponde “e che lo stabilisco io … lo stabiliscono loro”. Il figlio insiste “si ma sui lavoretti ad affidamento diretto si prendono il 2-3% mica si prendono il 10%”. E Sergio replica “no, invece è il contrario, sul lavoro grosso scendono di prezzo”. Adolfo insiste “ma sulla grande puoi picchiare di più, sulla piccola il 10% di questo sai quanto è?”. Il padre spiega: “Fammi parlare, fanno al contrario ti sto dicendo, sulla grossa scendono la percentuale”. Il figlio quindi contesta “ma il 10% nemmeno più i camorristi ci arrivano“. Ma all’appalto non rinuncia.

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