Notificate alle parti solo pochi giorni fa, le motivazioni della sentenza del processo Borsellino quater sono state depositate dai giudici della Corte d’assise d’appello di Caltanissetta già dallo scorso 30 dicembre e, ad una prima lettura, appaiono subito pagine dense. Innanzitutto, perché si avverte lo sforzo di andare oltre il quadro esistente, di prendere atto che lo scenario che è stato possibile ricostruire non racchiude la verità completa e soddisfacente dei fatti.

La strage di via D’Amelio rappresenta “indubbiamente un tragico delitto di mafia dovuto ad una ben precisa strategia del terrore adottata da Cosa nostra stretta dai timori per la sua sopravvivenza”. E, se le evidenze probatorie non consentono di portare alla sbarra uomini esterni alla cupola mafiosa, tuttavia è “inquietante” sapere che di “un uomo estraneo a Cosa Nostra” ha riferito il collaboratore Gaspare Spatuzza che lo vede nel magazzino di via Villasevaglios proprio il pomeriggio precedente la strage mentre viene consegnata la Fiat 126 che sarebbe stata, di lì a poco, imbottita di tritolo. Ma Gaspare tiene basso lo sguardo e non sa dir di più…

E poi le numerose dichiarazioni raccolte da persone intervenute nell’immediatezza della terribile esplosione le quali, fra fumi e macerie e lo sconcerto per il terribile scenario che piombò sulla via, hanno “rivelato numerose contraddizioni che non è apparso possibile superare, gettando al tempo stesso l’ombra del dubbio che altri soggetti possano essere intervenuti sul luogo della strage, nell’immediatezza dell’esplosione, ‘in giacca’ nonostante la calura del mese estivo e l’ora torrida, non appartenenti alle forze dell’ordine, e individuati anzi da taluni agenti intervenuti nell’immediatezza come ‘appartenenti ai servizi segreti’”.

Siamo ancora alla fase di consapevolezza già espressa dai giudici di primo grado nel febbraio del 1999 quando, confermata la natura mafiosa della strage, non veniva esclusa la mano di “estranei interessi che in un dato momento storico possono avere assunto una posizione convergente per questi ultimi”. Allora veniva segnalata la possibilità di ulteriori e più ampie prospettive di indagine sui possibili mandanti occulti, anche perché non era possibile comprendere la ragione per la quale il programma di eliminazione di Borsellino avesse subito “una rapida ed improvvisa accelerazione”.

Siamo dunque sempre lì: dietro la strage è possibile ci siano gruppi di potere estranei ai boss, scrivono i giudici, ma l’attività istruttoria ha subito una tale mole di condizionamenti esterni ed indebiti da parte degli stessi inquirenti che hanno “forzato” le dichiarazioni dei primi “collaboratori di giustizia”, che alla fine ci è stata consegnata una verità preconfezionata e preesistente alle stesse dichiarazioni: occorre prendere atto anche che la pervicacia e la continuità dell’attività realizzata per dare credito alle false dichiarazioni di Scarantino non sono state ancora spiegate. Sappiamo solo che soggetti inseriti negli apparati dello Stato si sono resi protagonisti di “uno dei più gravi depistaggi della storia giudiziaria italiana”, in particolare coprendo “fonti rimaste occulte” che avevano offerto, fin dall’inizio delle indagini, stralci dei reali accadimenti dei fatti.

Insomma, una debacle investigativa che ha impedito anche di stabilire un “collegamento tra il depistaggio e l’occultamento dell’agenda rossa di Paolo Borsellino”, visto che Arnaldo La Barbera era stato sicuramente protagonista nella “costruzione delle false collaborazioni con la giustizia” oltre che “intensamente coinvolto nella sparizione dell’agenda rossa”.

Il capitolo della sentenza destinato nell’immediato ad avere più risalto riguarda senz’altro i legami tra la strage e l’attuale processo sulla presunta trattativa Stato-mafia di cui si attende la sentenza d’appello: i giudici non condividono assolutamente che quell’evento avrebbe aperto ”nuovi scenari” in relazione alla ”crisi dei rapporti di Cosa Nostra con i referenti politici tradizionali”: la strage non fu pensata né accelerata nei tempi per via di quel dialogo perverso. Pagine pesanti dunque perché ci rimandano solo singoli pezzi di un mosaico che, nel suo complesso, continua a rimanere in ombra in alcune sue parti.

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