C’era una regia occulta dietro ai delitti eccellenti compiuti da Cosa nostra. Mandanti a volto coperto che facevano parte del mondo politico, economico e finanziario, che avrebbero avuto un vantaggio dall’eliminazione di Mauro De Mauro, il gionralista dell’Ora di Palermo scomparso il 16 settembre del 1970. E dall’assassinio di Pietro Scaglione, assassinato il 5 maggio del 1971. La pensavano in questo modo il generale dei carabinieri Carlo Alberto Dalla Chiesa il commissario di polizia Boris Giuliano. I rapporti top secret dei due famosi investigatori sono stati desecretati e pubbluicati online della Commissione parlamentare Antimafia. Le analisi di Dalla Chiesa e Giuliano sono contenuti in alcuni rapporti della polizia giudiziaria di Palermo datati 1971.

I documenti pubblicati dall’Antimafia per la prima volta sono quattro: un verbale di denuncia del 6 giugno 1971 e i rapporti giudiziari del 20 settembre, 26 ottobre e 15 luglio 1971. Si tratta d’informative che furono redatti in un momento assolutamente particolare per la storia di Cosa nostra, in seguito ad indagini congiunte, da alcuni uffici di Polizia giudiziaria dell’Arma dei Carabinieri e della Polizia di Stato della città di Palermo e che furono firmati – tra gli altri – proprio da Carlo Alberto Dalla Chiesa e da Boris Giuliano. Il primo venne assassinato da Leoluca Bagarella la mattina del 21 luglio 1979, subito dopo aver bevuto il primo caffè della giornata; il secondo venne abbattuto da un commando di Cosa nostra il 3 settembre 1982, dopo essere stato inviato di nuovo a Palermo da prefetto. I materiali sono consultabili su antimafia.parlamento.it. A rendere nota la pubblicazione è il presidente della Commissione, Nicola Morra, mentre il lavoro di desecretazione è curato dal magistrato Roberto Tartaglia.

Nei rapporti si fa riferimento anche a vicende oscure come la scomparsa del giornalista Mauro De Mauro, l’omicidio del procuratore della Repubblica Pietro Scaglione e del suo autista fino agli inquietanti atti dinamitardi della notte di Capodanno del 1971 eseguiti a Palermo ai danni di vari enti e uffici pubblici: “Fatti questi” – si legge nei dossier – “che non hanno precedenti nelle manifestazioni criminose dell’isola, perché appaiono talmente aberranti da far ritenere che si agitino o si occultino a monte degli esecutori materiali grossissimi interessi ai quali non sarebbero estranei ambienti e personaggi legati al mondo politico ed economico-finanziario e che, in forma più o meno occulta, hanno fatto ricorso, dal dopoguerra in poi, a sodalizi di mafia per conseguire iniziali affermazioni nei più svariati settori, per garantire quanto via via acquisito, per speculare sugli ulteriori locupletamenti”.

Dalla lettura dei documenti, tra l’altro, si colgono gli effetti della sentenza della corte d’assise di Catanzaro che, il 22 dicembre 1968, aveva assolto 44 imputati con la formula della insufficienza di prove determinando decine di scarcerazioni. L’effetto, secondo quanto emerge dai rapporti, fu da un lato conferire “più rinnovato prestigio ed autorità a quanti ne erano usciti indenni” e dall’altro il devastante incremento di sfiducia dell’opinione pubblica”.

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