Per tutti, Eni significa petrolio e gas. L’Eni, infatti, ha da sempre fatto, di queste fonti fossili, il suo business: oltre 75 miliardi di fatturato, con una presenza in 67 Paesi, una produzione di idrocarburi pari a 1,9 milioni di barili al giorno e 60 miliardi di metri cubi di gas venduto nel mondo.

Questi risultati “di mercato” andrebbero però messi in relazione con gli impatti, in particolare quelli ambientali e sociali, che l’attività di Eni ha prodotto e continua a produrre sul nostro pianeta. E’ nota la responsabilità delle fonti fossili nell’emergenza climatica ormai in atto e le gravi conseguenze a livello locale dovute alla loro estrazione: devastazione di territori, distruzione della biodiversità e violazione dei diritti umani delle popolazioni indigene.

Di recente, Eni ha presentato il proprio programma di sviluppo che, in estrema sintesi, mira a ridurre dell’80% le emissioni dei propri prodotti energetici realizzando, al contempo, 55 GW di fonti rinnovabili; il piano prevede anche un incremento della produzione di biocarburanti, la cattura dell’anidride carbonica e la riforestazione entro il 2050, quando la produzione di gas costituirà ancora circa l’85% della produzione totale di idrocarburi della società. Obiettivi, questi, non compatibili con la piena decarbonizzazione che il nostro Paese si è impegnato a perseguire.

Se guardiamo al breve periodo (2020-2023), Eni punta a incrementare ulteriormente i propri investimenti nel settore degli idrocarburi (32 miliardi), a fronte di soli 2,6 miliardi (un dodicesimo!) previsti per le fonti rinnovabili. Si ha l’impressione che si voglia rassicurare sul fatto che si è capita l’importanza di agire nella lotta ai cambiamenti climatici, ma che per realizzare in concreto il cambiamento necessario vi sia ancora tempo. E invece il tempo non c’è!

Tutte le previsioni e gli scenari relativi al cambiamento climatico, e soprattutto sui suoi impatti, vengono continuamente aggiornati con prospettive sempre peggiori. Questa stessa impressione l’abbiamo avuta in occasione dell’approvazione del Piano clima nazionale (Pniec) che, a fronte degli obiettivi di decarbonizzazione al 2050 assunti dall’Italia, continua a prevedere un ricorso al gas metano al 2040 per una quota che sfiora il 70%. Ora, se queste impressioni sono errate, e ce lo auguriamo, le due azioni che il governo deve mettere subito in atto riguardano l’adeguamento del Pniec e un chiaro segnale che il percorso che deve seguire Eni è un altro.

A breve il governo si dovrà pronunciare per il rinnovo del Cda di Eni e un’eventuale riconferma dell’attuale amministratore delegato, Claudio Descalzi, farebbe capire che quelle impressioni, purtroppo, non erano errate. Anzi, farebbe capire che nulla è cambiato e che il governo e la principale azienda fossile italiana sono ancora in piena sintonia, come negli ultimi decenni.

Guidare la transizione di Eni verso la decarbonizzazione sarà impresa ardua, ma certamente si potrà raggiungere se al suo vertice siedono persone con una preparazione, professionale e culturale, in linea con gli obiettivi che si vogliono raggiungere. Descalzi sarà anche un ottimo manager nel settore delle fonti fossili, ma non ha nessuna credibilità nel mondo delle rinnovabili e della sostenibilità. Proporre la realizzazione di 55 GW entro il 2050, quando nel solo anno 2018 secondo i dati Irena (Agenzia internazionale per le energie rinnovabili) la potenza da rinnovabili installata nel mondo è cresciuta di 171 GW con un +7,9% rispetto all’anno precedente e che il 63% (95% nell’Ue) della nuova potenza aggiunta è venuta da fonti rinnovabili che hanno raggiunto i 2.351 GW, fa capire che non sarà quello il settore prioritario per l’azienda.

Ciò è confermato anche dalle azioni previste nel breve periodo: entro il 2023 si prevede di scoprire circa 2,5 miliardi di barili di petrolio equivalente di risorse fossili e installare 3 GW (5 GW al 2025) di rinnovabili. Un po’ poco per innescare una inversione di tendenza.

Tra le opzioni per la scelta del manager che dovrebbe traghettare l’Eni verso nuove sfide, sarebbe ovvio dare la priorità a qualcuno che abbia fatto, da sempre, delle fonti energetiche alternative un cavallo di battaglia. Le motivazioni, alla base di ogni successo e obiettivo da raggiungere, sono importanti. Quanto è credibile la “svolta verde” che Eni ha presentato di recente? Oltre a non essere proprio una svolta verde, non sembra essere, piuttosto, un ultimo tentativo per strappare un consenso e, quindi, un rinnovo dell’attuale management?

Gli obiettivi dello sviluppo sostenibile (Sdg) delle Nazioni unite non sono un’etichetta ad uso e consumo di aziende che intendono riverniciarsi di verde per attirare clienti: sono obiettivi importanti per la salvaguardia del pianeta in tutte le sue forme di vita, inclusa quella umana. Continuare a propugnare progetti di cattura e stoccaggio della CO2, invece di tagliare alla fonte tali emissioni, fa capire che non si intende minimamente affrontare dal verso giusto la sfida dei cambiamenti climatici.

Senza tener conto dei costi per queste soluzioni tecnologiche “innovative” che, al momento opportuno, saranno l’alibi per non essere pienamente realizzate; quando investire subito tali risorse su fonti rinnovabili ed efficienza energetica accelererebbe di molto una vera transizione energetica sostenibile. Così come preservare le foreste è un’azione che dobbiamo svolgere per poter continuare a respirare aria pulita e non per compensare le emissioni antropogeniche di CO2.

Infine, come possono non pesare nella valutazione e, quindi, nelle scelte che il governo si appresta a fare, alcune vicende oscure che hanno accompagnato la gestione Descalzi negli ultimi anni, dall’accusa di corruzione internazionale per aggiudicarsi la licenza esplorativa di un importante giacimento di petrolio in Nigeria, all’indagine per la mancata comunicazione di conflitto di interessi dovuto al ruolo svolto da una società riconducibile a sua moglie che avrebbe fornito servizi per 300 milioni di euro alla consociata Eni in Congo? Chiarimenti su queste vicende, oltre che da Il Fatto Quotidiano (unico giornale che si occupa e preoccupa della vicenda) sono stati richiesti anche attraverso interrogazioni parlamentari da parte di LeU e M5s.

La scelta che il governo adotterà farà capire le vere intenzioni nel percorrere seriamente, oppure no, la strada dello sviluppo sostenibile. Per avviare una radicale transizione del colosso energetico italiano: se non ora, quando?

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