Per la seconda volta è stata rimandata al mittente la richiesta di chiudere il caso Alpi-Hrovatin. Il giudice per le indagini preliminari di Roma, Andrea Fanelli, ha rigettato la richiesta di archiviazione dell’inchiesta, presentata dalla procura, relativa all’omicidio della giornalista Ilaria Alpi e dell’operatore Miran Hrovatin, avvenuto il 20 marzo del 1994 a Mogadiscio, in Somalia. Il giudice ha disposto ancora una volta nuove indagini. Contro l’archiviazione si erano espressi, opponendosi, i familiari della giornalista oltre alla Fnsi, Usigrai e Ordine dei giornalisti.

Nel provvedimento di circa 20 pagine, il gip nel motivare la sua decisione afferma che l’omicidio dei due giornalisti resta una “vicenda segnata da tanti lati oscuri e financo da errori giudiziari“. In questo quadro “l’approfondimento, condotto senza riserve, degli ulteriori temi di indagine appare essenziale al fine di cercare di dare una risposta alla domanda di giustizia attesa ormai da 25 anni dai familiari delle persone offese e da tutti i cittadini interessati a conoscere la verità”. Il giudice aggiunge che “l’attività di indagine deve essere completa, esauriente ed approfondita tanto più in relazione a vicende come questa, assai complesse costellate di episodi quantomeno singolari se non addirittura dolosi, che hanno reso assai più arduo l’accertamento della verità dei fatti”. Un invito alla procura che appare come un monito.

Il magistrato ha concesso altri sei mesi di indagini, 180 giorni, per cercare di arrivare alla verità.
In totale il giudice chiede alla Procura di approfondire una dozzina di punti che, a suo dire, meritano ulteriori verifiche. In particolare il magistrato ha disposto che venga ascoltato il direttore dell’Aisi al fine di verificare la “persistenza del segreto” sull’identità dell’informatore di cui si fa riferimento in una nota del Sisde del 1997. Nella relazione dei servizi segreti “emergerebbe il coinvolgimento dell’imprenditore Giancarlo Marocchino nel duplice omicidio nonché in traffici di armi”.

Il giudice, inoltre, ha chiesto alla Procura accertamenti in relazione al ritardo con cui è stata trasmessa, nell’aprile del 2018, da Firenze la trascrizione di una intercettazione tra due cittadini somali in cui i due parlando di quanto avvenuto a Mogadiscio affermano che Ilaria “è stata uccisa dagli italiani”. Le conversazioni ci hanno messo cinque anni a percorrere circa 270 chilometri. I nuovi elementi spediti dalla procura di Firenze erano costituiti dalla trascrizione di una conversazione del 21 e 23 febbraio 2012 tra due cittadini somali in cui si afferma che Ilaria “è stata uccisa dagli italiani”, è stata ritenuta irrilevante dal pm.

Infine il giudice ha disposto di acquisire atti relativi al fascicolo di indagine sulla morte del giornalista Mauro Rostagno, ucciso nel 1988. Proprio su quest’ultima vicenda il gip chiede ai pm romani di verificare se esistono punti di contatto tra le due storie e spunti su cui potere imbastire nuova attività istruttoria in particolare sul traffico d’armi.

“In questo giorno il mio pensiero carico di commozione va a Giorgio e Luciana Alpi. La Fnsi e tutti gli organismi rappresentativi della stampa italiano continueranno nel loro nome nella ricerca di giustizia e verità sul caso di Ilaria Alpi” dice l’avvocato Giulio Vasaturo. “Ringrazio il gip – dice l’avvocato Carlo Palermo – finalmente si parla di quello di cui si occupava Ilaria”.

Il 26 giugno dell’anno scorso il giudice aveva già detto no all’archiviazione. La Procura di Roma, con il pm Elisabetta Ceniccola, aveva chiesto di chiudere il fascicolo sostenendo che era stato impossibile stabilire il movente e l’autore dell’assassinio. Ma il gip aveva respinto l’istanza ordinando una nuova tranche di accertamenti. A determinare quel rigetto c’era appunto quella trascrizione di una intercettazione tra i due somali.

Il giudice però aveva chiesto ai pm di ascoltare i protagonisti di quella intercettazione e in particolare di ascoltare Abdi Badre Hayle “al fine di accertare da chi è partito l’ordine di versare la somma di 40mila dollari all’avvocato Duale e come egli facesse a sapere che era ‘per la questione Hashi”. Il magistrato, inoltre, chiedeva di ascoltare “Mohamed Geddi Bashir al fine di accertare da chi ha ricevuto l’informazione – si leggeva nel documento del gip – che Hashi Omar Hassan (a cui erano stati inflitti 26 anni, assolto nel processo di revisione e risarcito con 3 milioni di euro per ingiusta detenzione) era stato ingiustamente condannato per l’omicidio di Ilaria Alpi e che quest’ultima era stata invece uccisa da militari italiani”. Tra le richieste anche quella di audire l’avvocato Douglas Duale per accertare se effettivamente “gli sia stato corrisposto del denaro dal governo somalo o da altri soggetti per la difesa di Hashi Omar Hassan”. Per la procura però quelle conversazioni captate erano “irrilevanti” e e per questo la titolare del fascicolo aveva comunque chiesto di chiudere definitivamente il caso.

Infine il giudice ritornava su una relazione del Sisde e a tal proposito citava il suo collega, Emanuele Cersosimo, che con una ordinanza del 2 dicembre 2007, aveva chiesto che venisse ascoltata quella fonte confidenziale dell’allora servizio segreto civile ma “il ministero dell’Interno aveva risposto, con nota del primo aprile 2008, che perduranti esigenze di tutela della fonte stessa non consentivano di fornire elementi atti a rivelarne l’identità“. Dopo oltre dieci anni “appare utile verificare la persistenza delle ragioni di segretezza addotte dal Sisde”, concludeva Fanelli.

Dall’Aisi però era arrivato un no perché la fonte non poteva dare il consenso, già negato in passato, di essere sentito come testimone nell’indagine sulla morte della giornalista. E così – con una lettera riservata del 6 giugno 2018 agli inquirenti – il servizio aveva “espresso la volontà di continuare ad avvalersi della facoltà di non rivelare la generalità della risorsa fiduciaria”. Sul punto l’avvocato Giulio Vasaturo, legale di Fnsi, Usigrai e Ordine dei giornalisti, nell’opposizione invocava il gip di “imporre ai nostri apparati di Intelligence di rivelare le generalità della fondamentale fonte confidenziale del Sisde (oggi AISI) che nel 1997 ha riferito dei collegamenti fra l’omicidio di Ilaria e Miran ed i traffici di armi e rifiuti in Somalia”. Era stata quindi anche sollevata “sul punto, la questione di legittimità costituzionale, chiedendo al giudice di rimettere gli atti alla Consulta per sancire l’incostituzionalità della normativa che consente all’Intelligence di opporre il segreto sulle proprie fonti, ricorrendo a motivazioni anche manifestamente illecite”.

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