Permessi per i porti d’arma dimezzati, 16mila controlli antimafia tra le aziende, oltre 60 provvedimenti per bandire le aziende sospettate di infiltrazione della criminalità organizzata. Ma anche la lettera anonima con proiettile, le interviste ostili in tv e sulla stampa, la partecipazione di un politico a una cena con persone in odore di mafia. “E poi quelle interviste alla stampa rilasciate dalle persone colpite da interdittive antimafia: non mi era mai capitata una cosa del genere”. È stata una testimonianza lunga e fondamentale, soprattutto per capire il contesto in cui nasce il processo di ‘ndrangheta Aemilia, quella del prefetto Antonella De Miro. Oggi in servizio a Palermo, dal 2009 al 2014 è stata a Reggio Emilia. Subito, ricorda, ci furono strani segnali: “Quando arrivai nel settembre 2009, su un cavalcavia a Reggio comparvero degli striscioni con la bandiera dell’Italia e listati a lutto”.
Nel 2010 il Prefetto emana le prime interdittive antimafia nei confronti di aziende sospettate di avere infiltrazioni o contatti con la criminalità organizzata. De Miro precisa che non erano solo calabresi: siciliane, campane, ma anche emiliane. “Già nel 2010 ebbi le prime segnalazioni da parte dei sindacati dei camionisti: fra gli autotrasportatori c’erano ditte che, pur operando in Emilia mantenevano la loro sede in Calabria. Alcune risultavano avere lavoratori in nero. Poi – ricorda De Miro – ci furono i primi arresti in Emilia nell’ambito di inchieste fatte da Catanzaro. Questo bastò per mettermi in allarme. Creai un gruppo interforze”.
Ma non c’è solo l’autotrasporto sotto la lente del prefetto. È l’edilizia a preoccuparla, soprattutto quando nel 2012 arriva il terremoto che sconvolge l’Emilia e la ricostruzione diventa un affare. “Fu l’annus horribilis per me”, ricorda De Miro. Che con le sue iniziative dia molto fastidio, il Prefetto lo capisce il 20 marzo, quando le viene recapitata una lettera anonima con un proiettile. “Il procuratore mi spiegò che in quel momento a Reggio Emilia ero una delle persone più a rischio”. Poi ci furono le numerose interviste sui quotidiani o nelle tv locali da parte degli imprenditori destinatari di provvedimenti antimafia: “Non mi era mai capitato che persone le cui aziende erano state interdette per infiltrazioni mafiose rilasciassero delle interviste sulla stampa”, racconta la testimone. Molte di quelle interviste poi finiranno anche nel processo Aemilia: nel rito abbreviato, uno dei condannati per concorso esterno in associazione mafiosa è proprio Marco Gibertini, giornalista, con l’accusa di avere organizzato una trasmissione televisiva e un’intervista su indicazione di quello che è considerato uno dei capi della cosca emiliana, Nicolino Sarcone. In molti casi i protagonisti di quelle interviste attaccano frontalmente il lavoro di De Miro. Il 2012 è poi anche l’anno dei roghi delle auto a Reggio di imprenditori calabresi: ma il Prefetto non si ferma, e sino al 2014 continua a interdire dagli appalti pubblici le aziende e a vietare a decine di persone il porto d’armi.
Interrogata dal pm della Direzione distrettuale antimafia di Bologna, Marco Mescolini, De Miro ricorda anche di un incontro che le fu chiesto dall’allora sindaco di Reggio Emilia, e oggi ministro, Graziano Delrio con alcuni consiglieri comunali: Antonio Olivo, Salvatore Scarpino e Rocco Gualtieri, i tre consiglieri di calabrese. Pochi giorni prima, all’inaugurazione dell’anno giudiziario a Bologna si era parlato ampiamente di infiltrazioni a Reggio Emilia. “Fu un incontro cordiale. Mi rappresentarono il timore della comunità calabrese (che a Reggio città conta circa 10mila persone, ndr) di essere accomunata alla ‘ndrangheta. Non si parlò specificamente delle interdittive che avevo emanato. Io li rassicurai e gli dissi che i reggiani avrebbero saputo distinguere tra chi era della ‘ndrangheta e chi no. Gli dissi che io ero siciliana. Gli dissi che era importante assumere iniziative forti e li invitai a fare sentire la loro voce in consiglio comunale in modo da fare sentire la voce dei calabresi onesti”.
Poi l’ex Prefetto di Reggio Emilia inizia a parlare della cena del 21 marzo 2012 al ristorante Antichi sapori. Una cena alla quale prese parte anche un consigliere provinciale del Pdl, Giuseppe Pagliani (oggi capogruppo in Comune) e la giornalista Isabella Trovato. Ma tra i 30 invitati quella sera c’era anche Nicolino Sarcone, allora imputato per associazione mafiosa nel processo Edilpiovra, in quel momento il più importante processo per mafia a Reggio. “Ero Prefetto, rappresentante dello Stato – ha spiegato De Miro – pensare che pezzi della società reggiana e una giornalista che ha frequentato anche la Prefettura, potessero stare con quelli che io ritengo anti-Stato, mi ha molto sorpreso e amareggiato”. Va detto che Pagliani, nel rito abbreviato del processo Aemilia, è stato assolto dall’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa, mentre Isabella Trovato non è stata mai indagata per quella sua partecipazione alla cena. Nicolino Sarcone invece, nello stesso rito abbreviato un anno fa, è stato condannato in primo grado a 15 anni.