di Pia Starace

Alcune recenti notizie in tema di plagio accademico, scarse competenze, sottovalutazione della preparazione universitaria, millantata trasparenza dei comportamenti, pongono un interrogativo: quale importanza questo Paese accorda alla ricerca, alla formazione e al lavoro? Mettiamo insieme solo alcuni dei casi più recenti con qualche salto nel passato e la risposta verrà facile.

1) E’ meglio giocare a calcetto che mandare un curriculum per trovare lavoro (ministro Giuliano Poletti);
2) Non è necessariamente un male che il Paese si sia sbarazzato di 100mila giovani fuggiti all’estero per mancanza di opportunità in Italia (ministro Poletti);
3) Prendere 110 e lode a 28 anni non serve a un fico, meglio un 97 a 21 anni (sempre Poletti);
4) I giovani che restano a casa con i genitori sono bamboccioni (ministro Padoa Schioppa);
5) I giovani italiani sono troppo “choosy” (ministro Elsa Fornero);
6) Quattromila parole nella tesi di dottorato di un ministro (Madia) sono plagiate da opere di altri autori;
7) Un esimio professore di Chirurgia generale (P. Miccoli) ha copiato interi passaggi di una relazione con cui è stato ammesso a far parte del Consiglio direttivo Anvur, organo che determina i criteri e metodi di valutazione della ricerca;
8) Il ministro dell’Istruzione,Università e Ricerca (Valeria Fedeli), non laureata, nel proprio curriculum spaccia per laurea in Scienze Sociali un diploma della scuola per assistenti sociali;
9) Al Cnr un funzionario (Gargiulo) sottrae e usa per fini privati somme ingentissime giustificate come somme per materiali di laboratorio e per attività di ricerca;
10) Matteo Messina Denaro è citato nella sparizione di fondi del Cnr.

Dunque, se questi sono i fatti (solo alcuni), l’importanza accordata a formazione, ricerca, lavoro in questo paese è residuale, minima, occasionale, quando non opportunistica. Riprova ne è la tiepida reazione che essi suscitano. Le preoccupazioni prevalenti gravitano in campo economico, finanziario o squisitamente politico. Ma non si tratta affatto di aspetti separati: finanza, economia, politica, fiscalità, cultura non sono che sottosistemi sociali facenti capo agli individui. Lo scopo dovrebbe essere quello di alimentare e rigenerare una società che dicasi civile, creando una classe dirigente all’altezza di un paese competitivo, in ossequio a regole eticamente corrette; ma questo può accadere solo se lo Stato coltiva al massimo grado l’istruzione, la ricerca, lo sviluppo di competenze professionali, la sensibilizzazione culturale.

Una ripartenza virtuosa sarebbe ineluttabile, persino con impennata…O sarà che gli stessi fatti prima elencati ci dicono invece che l’agognata ripartenza è assai ardua, quando non utopistica?

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