E’ accusato di aver chiesto denaro e favori ai sindaci della zona in cambio di un trattamento morbido del battagliero telegiornale che dirige. Un’accusa infamante, soprattutto se la tua televisione si chiama Telejato ed è considerata in tutto il mondo avamposto di frontiera in una terra decisamente difficile. In tre parole: legalità a prezzi di saldo. È per questo motivo che, secondo il quotidiano la Repubblica, il giornalista Pino Maniaci è finito sotto inchiesta da parte della Procura di Palermo: è accusato di avere fatto pressioni sui sindaci di Partinico e Borgetto, Salvo Lo Biundo e Gioacchino De Luca, promettendo di attenuare il tenore dei servizi del suo telegiornale in cambio di spot pubblicitari e l’assunzione temporanea della sua compagna al comune. Accuse alle quali i pm di Palermo sarebbero arrivati solo dopo aver intercettato Maniaci, che vive sotto tutela da anni, ma anche in seguito ad alcune ammissioni fatte dai due primi cittadini interrogati. “Io non ho ricevuto alcun avviso di garanzia ma non posso dire di essere stupito: tempo fa un magistrato mi disse che a questo giro non sarebbe stata la mafia a farmela pagare ma l’antimafia e quest’indagine lo dimostra”, dice Maniaci a ilfattoquotidiano.it.

Cravatta stretta al collo, sigaretta perennemente in bocca, da una ventina d’anni il giornalista siciliano compare sui teleschermi di una manciata di comuni, lungo quel lembo di terra sassosa che divide Palermo da Trapani, scagliandosi contro boss di Cosa nostra, imprenditori che distillano alcolici inquinando l’ambiente, politici che amministrano a uso e consumo dei propri interessi. Denunce che hanno valso a Maniaci l’inserimento nella lista dei cento eroi mondiali dell’informazione di Reporters sans frontieres (unico italiano insieme a Lirio Abbate), ma anche una cifra record di querele (più di duecento) e una serie infinita di intimidazioni. Poi negli ultimi anni, Maniaci ha concentrato la sua attenzione sul mondo dell’antimafia: è Telejato, infatti, la prima emittente ad accendere i riflettori su Silvana Saguto, l’ex presidente della sezione misure di prevenzione del Tribunale di Palermo, finita sotto inchiesta insieme a tre magistrati e ad alcuni amministratori giudiziari, tutti complici di un sistema fatto di favori e prebende, all’ombra della gestione dei beni sequestrati a Cosa nostra.

Una traccia dell’indagine a carico di Maniaci si trova proprio nelle intercettazioni a carico della Saguto. “Se questi si spicciassero a fare le indagini noi non avremmo bisogno di fare niente (contro Maniaci ndr)”, dicono gli indagati nei giorni in cui Telejato pubblicava a puntate l’inchiesta sul business della gestione dei beni confiscati a Cosa nostra. “Che tempi abbiamo per Telejato?”, chiede ad un certo punto Francesca Cannizzo, ex prefetto di Palermo, indagata per concussione. “Ha le ore contate”, risponde pronta la Saguto. “Mi sembra che la storia sia chiarissima: l’avvocato Cappellano Seminara (dominus degli amministratori giudiziari, coinvolto nell’inchiesta della procura di Caltanissetta ndr) mi ha denunciato per stalking solo per fare in modo che io venissi intercettato: ma basta andare a vedere i servizi del mio telegiornale per capire che i sindaci in questione vengono attaccati almeno una volta al giorno. Senza contare che il presidente del consiglio comunale di Borgetto mi ha persino querelato di recente”, spiega Maniaci, assistito dagli avvocati Bartolomeo Parrino e Antonio Ingroia. In sua difesa si esprime anche Salvo Vitale, storico compagno di Peppino Impastato e collaboratore di Telejato. “L’accusa contro Pino è ridicola e non merita di essere commentata. Basta ascoltare i telegiornali, per rendersi conto che quotidianamente i sindaci di Partinico e di Borgetto sono massacrati da Pino per la loro, diciamo presunta, incapacità a risolvere gli enormi problemi del loro territorio”. E in attesa che i contorni della vicenda si chiariscano, non resta che appuntare il nome di Maniaci alla fine della lunga lista di simboli della legalità finiti infangati negli ultimi mesi: è probabile, infatti, che quello appena trascorso venga ricordato come l’annus horribilis dell’antimafia.

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