A dispetto di superficiali analisi di osservatori terzi la Dda di Napoli è sempre stata consapevole di un dato: il clan dei Casalesi, a dispetto delle centinaia di arresti degli ultimi anni, non era stato disarticolato. Semplicemente, stava mutando pelle. Riorganizzandosi. Continuando a rafforzarsi militarmente, come hanno ribadito in conferenza stampa il procuratore capo Giovanni Colangelo e il coordinatore Dda Giuseppe Borrelli. E per questo l’operazione è stata denominata “Spartacus Reset”.

Lo dimostrano i 42 arresti compiuti stamane grazie al dispiego di duecento militari, elicotteri, unità cinofile, al termine di un’indagine condotta dai carabinieri del nucleo operativo di Casal di Principe agli ordini del colonnello Giancarlo Scafuri. Tra gli arrestati ci sono anche due figli di Francesco Schiavone detto Sandokan. Carmine e Nicola Schiavone e altri 40 indagati sono ritenuti responsabili, a vario titolo, di associazione per delinquere di stampo mafioso, estorsioni, detenzioni di armi e ricettazione, reati tutti aggravati dal metodo mafioso. L’inchiesta coordinata dai pm Giovanni Conzo e Luigi Landolfi ha documentato condotte camorristiche perduranti sino al momento delle richieste cautelari, avanzate al Gip nel settembre 2014.

Anche in questi ultimi mesi, il clan ha agito. Con un nuovo organigramma, che aveva in Carmine Schiavone il reggente (dopo il suo arresto è subentrato Romolo Corvino), e negli arrestati di oggi gli affiliati al sodalizio, operativi sul territorio o reclusi nei penitenziari. E con una cassa comune per il pagamento degli stipendi agli affiliati della fazione Schiavone, Zagaria e Iovine: un serbatoio di denaro utile a estendere il controllo del territorio a tutto l’agro aversano, compresi i comuni di ‘competenza’ del clan Bidognetti, fazione esclusa dalle attività illecite. Gli stipendi ai detenuti si aggiravano intorno ai 2000 euro mensili, mentre gli affiliati a piede libero prendevano una percentuale del ricavo delle estorsioni.

Le indagini hanno consentito di individuare e sequestrare i libri contabili del sodalizio (alcuni dei quali trascritti a mano dallo stesso Carmine Schiavone, così come accertato con una perizia calligrafica eseguita dal Ris di Roma) e i “pizzini” coi quali il figlio di Sandokan ordinava le estorsioni. Almeno una ventina quelle accertate dagli inquirenti, con importi variabili fino a 5000 euro. La situazione era aggiornata al marzo 2013. C’erano le liste di affiliati che percepivano lo stipendio e quelle di imprenditori e commercianti vittime del racket, con un volume di “affari” registrato, mensilmente, che ammontava a circa 200.000 euro di incassi dai soli proventi estorsivi (altri 100.000 euro mensili venivano incassate dai proventi delle imposizioni delle slot machine e dalle scommesse online), mentre per le spese “correnti”, relative al pagamento delle mensilità agli affiliati detenuti, era prevista la somma in uscita di circa 60.000 euro. Sequestrati due kalashnikov, un fucile d’assalto, due fucili a pompa, un fucile sovrapposto, una mitragliatrice e quattro pistole, oltre a vario munizionamento di diverso calibro): armi di una pericolosità molto superiore a quelle rinvenute in precedenti operazioni. Non poteva mancare il bunker per la latitanza degli affiliati. È stato individuato e sequestrato a Villa Literno.

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