Occupazione, inquinamento, ambiente e politiche energetiche. Ecco i temi su cui ci si deve interrogare prima di votare ‘sì’ o ‘no’ al referendum sulle trivelle del prossimo 17 aprile, che per essere valido deve raggiungere il quorum del 50 per cento più uno degli aventi diritto. Oggi in Italia non si possono ottenere permessi di ricerca o prospezione né concessioni di coltivazione di petrolio e gas entro le 12 miglia dalla costa. Eppure in quelle aree off limits alcune società continuano le loro attività. Lo consente il comma 17 dell’articolo 6 del decreto legislativo 152 del 2006, sostituito dal comma 239 dell’articolo 1 della legge di Stabilità (del 28 dicembre scorso) che permette a chi ha già ottenuto una concessione di rinnovarla continuando l’attività ‘per la durata di vita utile del giacimento’. Se prima le concessioni di coltivazione avevano una durata di 30 anni (prorogabile per periodi di 10 e 5 anni) e i permessi di ricerca di 6 anni (anche questi prorogabili), la legge di Stabilità ha decretato che i titoli già rilasciati non abbiano più scadenza.

PERCHE’ LA LEGGE IN VIGORE E’ FAVOREVOLE ALLE SOCIETA’ PETROLIFERE
Un particolare non di poco conto. Perché dismettere un impianto comporta costi altissimi per le società concessionarie, che quindi puntano a estrarre il minimo indispensabile per il maggior arco di tempo possibile. Questo modus operandi, inoltre, ha anche un’altra spiegazione, tutta economica: le franchigie. Le società petrolifere, infatti, non pagano le royalties se producono meno di 20mila tonnellate di petrolio su terra e meno di 50mila in mare. Ma rivendono tutto a prezzo pieno. E se si superano le soglie, ecco che scatta un’ulteriore detrazione di circa 40 euro a tonnellata. Morale: il 7% delle royalties viene pagato solo dopo le prime 50mila tonnellate di greggio estratto e neppure per intero. “Sistema comodo per le società, che possono mantenere in vita impianti da cui producono quantità modeste di petrolio”, spiega a ilfattoquotidiano.it Andrea Boraschi, responsabile della Campagna Energia e Clima di Greenpeace. “Smantellare costa di più – aggiunge – meglio continuare a produrre anche poco, sotto la soglia della franchigia, senza pagare le royalties”. In Italia, inoltre, sono esentate dal pagamento le produzioni in regime di permesso di ricerca. Ecco perché per chi estrae è fondamentale quella “durata di vita utile del giacimento“.

NUOVE TRIVELLE? SI’, ECCO PERCHE’
Che non scongiura la possibilità di costruire nuovi impianti entro le 12 miglia, specie se previsto nel programma originario delle concessioni già rilasciate. Se il giacimento può essere ancora sfruttato, infatti, le aziende potranno rinnovare gli impianti e aumentare la produzione estrattiva, chiedendo di portare a termine il programma. E potrebbero anche avere bisogno di nuove piattaforme e nuovi pozzi. Quindi nuove trivelle. Sta accadendo in Sicilia, con il progetto della Vega B (è prevista la realizzazione dei primi 4 pozzi, a cui se ne aggiungeranno altri 8), che potrebbe sorgere all’interno della concessione per la Vega A.  Situazione simile a quella di Rospo Mare (di fronte all’Abruzzo) per la quale si parla di altri 4 pozzi.

COSA SI VA A VOTARE: IL QUESITO
Che cosa, quindi, i cittadini italiani potranno cambiare in concreto con il loro voto? Potranno decidere se abrogare (con il ‘sì’) questa parte di norma e far valere, anche per i titoli già rilasciati, il divieto di ‘operare’ entro le 12 miglia dalla costa, facendo cessare le attività in corso in mare. Non immediatamente, ma alla data di scadenza ‘naturale’ della concessione. Anche se ci fossero ancora petrolio o gas da estrarre. Se passa il ‘no’, invece, si va avanti fino all’esaurimento. In Italia sono state rilasciate 35 concessioni per estrazione di idrocarburi (coltivazione) in mare che interessano anche aree entro le 12 miglia dalla costa. Ventisei sono quelle produttive tra il mare Adriatico, il mar Ionio e il canale di Sicilia, per un totale di 79 piattaforme e 463 pozzi. L’attuale norma salva anche i permessi di ricerca già rilasciati: sono dodici, compreso quello che riguarda Ombrina Mare. Partendo dai nodi attorno a cui si sviluppa il dibattito, ilfattoquotidiano. it ha chiesto le ragioni del ‘sì’ e quelle del ‘no’ rispettivamente a Enrico Gagliano, tra i fondatori del coordinamento nazionale NoTriv e primo promotore del referendum, e a Umberto Minopoli, presidente dell’Associazione italiana nucleare.

Articolo Precedente

Allevamenti intensivi, anche la finanza può dire no

next
Articolo Successivo

Referendum trivelle, il silenzio dell’informazione: i tg ne parlano a stento e nei talk show è quasi assente

next