L’elettricità da fonti a basse emissioni di carbonio è indispensabile per la decarbonizzazione entro il 2050. Ma nella riunione interparlamentare dei Presidenti delle Commissioni competenti per l’ambiente e l’energia che si è svolta a Dublino domenica e lunedì scorsi, Günther Oettinger, il commissario europeo per l’Energia, è stato ancora più chiaro: la via per liberare l’Europa dal carbone passa dalle fonti rinnovabili più innovative. L’Ue si è posta l’obiettivo di arrivare al 2050 con  l’80-95% in meno di emissioni rispetto ai livelli del 1990. Ma Oettinger ha sottolineato anche il ruolo di un piano energetico europeo: se ogni stato membro elabora i suoi personali piani, abbiamo poche possibilità di creare un mercato interno dell’energia. Serve una visione europea e una strategia di lungo termine.

Da parte di Oettinger è arrivato uno stop anche al comparto della Ccs (Carbon Capture and Storage), basata su una procedura in cui il carbone non viene fatto reagire con l’aria come negli impianti tradizionali. Circa la cattura del carbonio relativa grazie a nuovi impianti di energia, il commissario Ue ha risposto in modo netto e preciso: si tratta di una tecnologia che non dà garanzia ed è inutilmente costosa. Si tratta di una posizione figlia probabilmente anche delle riserve avanzate nella risoluzione del Parlamento europeo del 14 marzo scorso sulla tabella di marcia per l’energia 2050. La Ccs era sì considerata valida in vista della decarbonizzazione, ma si era osservato come tale tecnologia si trovasse ancora in fase di ricerca e sviluppo, che il suo sviluppo restava caratterizzato da grande incertezza a causa di problemi irrisolti, come i tempi indefiniti dello sviluppo, i prezzi di costo elevati e i rischi ambientali. E nella stessa risoluzione si chiedeva alla Commissione di elaborare una relazione intermedia di valutazione dei risultati ottenuti mediante i progetti di dimostrazione sovvenzionati dall’Ue per le centrali elettriche alimentate a carbone. L’orientamento del commissario europeo contraddice anche l’ottimismo verso lo sviluppo del settore della Ccs, considerato determinante per costruire il mix energetico del futuro, che era contenuto nel Libro Verde, pubblicato appena nel marzo scorso.

Il tema del carbone riguarda da vicino anche il Veneto e in particolare la centrale di Porto Tolle. Il progetto di accordo tra la Regione Veneto e il ministero dello Sviluppo economico è in contrasto con la prospettiva di un’economia decarbonizzata. Come ha dichiarato recentemente anche Stella Bianchi, responsabile ambiente del Pd, è impensabile che una struttura di quelle dimensioni sia ubicata in un’area così delicata come il Parco del Delta del Po. Come sempre, non è solo una questione ambientale, ma anche economica. Secondo alcune stime, investendo i 2,5 miliardi di euro previsti dall’Enel per la centrale di Porto Tolle su un mix di fotovoltaico ed eolico, si avrebbero ricadute occupazionali almeno 3 volte superiori, non solo ma i dati sulla richiesta energetica porta all’evidenza una necessità di non oltre 2000ore, ragione per cui non risulta bancabile cioè  finanziabile un’offerta di 3 volte tanto.

Senza contare che le ricadute sulla salute pubblica, e sul suo costo sociale, sarebbero enormi. La strada è quella dell’efficienza energetica e delle fonti rinnovabili come indica l’Europa. Nei prossimi anni si lavorerà per una comunità dell’energia che riesca a cooperare immagazzinando l’energia prodotta nei momenti di picco delle rinnovabili. Cosa aspettiamo? Andiamo anche noi nella direzione indicata dall’Europa o vogliamo continuare ad essere autonomi ed opposti dal punto di vista delle soluzioni?

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