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Giovanni Falcone, il racconto degli agenti dell’Fbi: “A Palermo si sentiva braccato, in Usa stava meglio”

Alfredo Principe e David Sebastiani sono due ex agenti federali che lavorarono col magistrato antimafia alle indagini su Pizza connection. Sono tornati a Palermo per l'anniversario della strage di Capaci, accolti dall'ex ispettore Pippo Giordano
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Giovanni Falcone era una persona straordinaria. Mi ricordo che quando parlava in italiano aveva questo accento marcato siciliano, inconfondibile. Ogni volta che arrivava negli States, organizzavamo per lui una protezione, ma ci diceva: per favore non voglio che gli agenti mi stiano vicino, voglio essere un po’ libero, perché qui non mi conosce nessuno”. A distanza di quarant’anni, è un ricordo nitido quello tracciato da Alfredo Principe (a sinistra nella foto), per 26 anni agente speciale dell’FBI negli Stati Uniti. È per il suo ruolo nel Federal Bureau che Principe ha conosciuto Falcone. Erano gli anni ’80 e all’epoca il giudice si recava a New York per collaborare con gli agenti federali statunitensi, impegnati nell’operazione speciale “Genus-Cattlais”, poi ribattezzata dalla stampa “Pizza Connection”: è la più nota inchiesta sul traffico internazionale di droga, tra Palermo e gli States.

Le Timberland di Falcone – Oggi Principe ha 82 anni ed è tornato a Palermo, dove lo abbiamo incontrato, al bar davanti al palazzo di giustizia. Sembra uno dei tanti turisti, indossa dei pantaloncini, una camicia a maniche corte verde militare e un cappellino della stesso colore con la scritta “Fbi Miami”. Si trova in città per partecipare alla commemorazione della strage di Capaci, in compagnia di un altro ex agente dell’FBI, David Sebastiani (a destra nella foto), che è più giovane di vent’anni. Ad accoglierli c’è l’ex ispettore della Dia Pippo Giordano, che ha lavorato al fianco di Beppe Montana e Ninni Cassarà, ma anche dei giudici Rocco Chinnici, Paolo Borsellino e ovviamente anche di Falcone. I tre si conoscono da una vita e condividono i ricordi del magistrato ucciso nella strage di Capaci esattamente 33 anni fa. “Quando era a New York si sentiva più libero rispetto a quando si trovava a Palermo, dove era braccato, si sentiva in prigione a causa della mafia. Noi chiaramente lo seguivamo sempre come un’ombra, ma gli concedevamo un po’ più di aria”, racconta ancora Principe, che spesso andava a prendere Falcone all’aeroporto John Kennedy di New York. “Ogni volta, la prima cosa che mi chiedeva era: Alfredo mi devi portare in questo negozio di scarpe dove vendono le Timberland shoes. Perché all’epoca in Italia costavano moltissimo, quindi il giudice ne comprava quattro-cinque paia e le portava a Palermo”.

Le intercettazioni in italiano –

Il Donnie Brasco di Philadelphia – Principe compare anche nel documentario “Our Godfather – La vera storia di Tommaso Buscetta” del 2019, avendo accompagnato il boss mafioso durante il processo ‘Pizza Connection’ che si è celebrato a New York. L’ex agente ha vissuto a cavallo tra due oceani: nato in Italia, è cresciuto nel nostro Paese prima di trasferirsi negli States. Padre calabrese e madre siciliana, ha interrotto gli studi all’università di Messina per arruolarsi come sottoufficiale nella base Nato di Bagnoli. Ha ricominciato a studiare solo quando arriva negli Usa, dove inizia a insegnare italiano a scuola. Essere di madre lingua italiana, gli ha aperto le porte dell’Fbi. “All’epoca, gli agenti che ascoltavano le intercettazioni non capivano niente, perché i mafiosi parlavano in dialetto, quindi l’FBI ha cercato figure specializzate, all’inizio c’era un solo agente, poi nel 1984 hanno assunto me – racconta – L’Fbi ha persino mandato degli agenti in un centro di formazione in California dove per 9 mesi studiavano l’italiano e per 3 mesi il siciliano, ma quando tornavano e ascoltavano le intercettazioni delle inchieste avevano comunque difficoltà”. Per molti anni Principe si è occupato di ascoltare le intercettazioni dei mafiosi delle cinque famiglie di New York, traducendo le conversazioni.

Il Donnie Brasco di Philadelphia – David Sebastiani, invece, di anni ne ha 62: figlio di genitori abruzzesi emigrati negli Stati Uniti, è stato un agente federale per 26 anni, passandone 15 anni sotto copertura, molti dei quali infiltrato nella famiglia mafiosa di Philadelphia con lo pseudonimo di “Dino”. È riuscito a registrare le conversazioni e i suoi incontri con il boss Anthony Staino, tra il 2002 e il 2004: il suo lavoro ha permesso all’FBI di ottenere condanne per racket ed estorsione di Staino ed altri associati della famiglia mafiosa di Philadelphia. In pratica ha vissuto una storia simile a quella di Joe Pistone, l’agente noto come Donnie Brasco, il celebre film interpretato da Johnny Depp e Al Pacino.

Falcone non mostrava mai ansia” – Giordano, invece, ricorda che la prima volta in cui conobbe Falcone “fu quando si pentì Totuccio Contorno“. Essendo un operativo, l’ex poliziotto frequentava raramente il palazzo di giustizia. “Successivamente – racconta – Falcone mi delegò di seguire le indagini sui fratelli Sansone, i proprietari del residence in cui in seguito si sarebbe scoperto che si nascondeva Totò Riina”. All’ex ispettore è rimasta impressa un dettaglio del giudice: “Lui non mostrava mai ansia, era sempre uguale, sembrava sereno, anche quando facevamo gli interrogatori e si parlava di omicidi, Falcone non perdeva mai l’umanità, aveva quel modo di coinvolgere tutti, anche il collaboratore di giustizia, facendogli capire che lui non era il mastino, ma una persona che stava facendo il proprio lavoro”. Un’umanità mostrata anche verso i mafiosi. “Nel 1989 a Bagheria uccisero la madre (Leonarda Costantino, ndr), la zia (Lucia Costantino, ndr) e la sorella (Vincenza Marino Mannoia, ndr) del pentito Marino Mannoia, alcuni giorni dopo, Falcone venne a Roma ad incontrare il collaboratore di giustizia e gli disse: Sono qui per farle le condoglianze e non per lavorare. Ma Mannoia con la sua freddezza rispose in dialetto: Mettiamoci a lavorare. Quindi si accese una sigaretta e iniziammo a verbalizzare”, ricorda Giordano.

L’ironia di Falcone – L’ex ispettore della Dia prosegue: “Ricordo una domenica in cui lavorai insieme a Ninni Cassarà e Falcone, premetto che a me non piaceva battere a macchina, preferivo lavorare sul campo, per strada, potevo stare un mese con il binocolo puntato ad osservare un punto preciso, ma restare seduto sulla scrivania non mi piaceva. Mi misi a battere i tasti sulla macchina, quando ad un certo punto Falcone, con quel sorriso sornione e beffardo disse a Cassarà: Ninni, visto che c’è il telefono accanto a te, chiama i pompieri, perché tra un po’ Pippo fa incendiare la macchina da scrivere. Questo era Falcone, nonostante stessimo trattando argomenti delicatissimi, trovava sempre il modo per sdrammatizzare e rendere l’ambiente di lavoro più confortevole”.

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