Cinema

Oscar 2025, Netflix e i 40 milioni di Emilia Perez battuti dagli indipendenti Anora e The brutalist

Le caselle migliori sono occupate dal cinema che vive a spizzichi e bocconi, che vede procrastinare inizi riprese, post produzioni e che soprattutto lavora con cifre minime, al limite del possibile

di Davide Turrini
Oscar 2025, Netflix e i 40 milioni di Emilia Perez battuti dagli indipendenti Anora e The brutalist

Anche a Netflix tocca rimanere a guardare. Se gli Oscar 2025 fanno ridere le produzioni indipendenti, fanno anche piangere il gigante dello streaming. I cinque Oscar vinti da Anora, il film di Sean Baker, sono stati distribuiti su categorie pesanti come Miglior Film, Regia, Sceneggiatura, Montaggio, oltre all’Oscar come Miglior Attrice a Mikey Madison che, come scrive giustamente Paolo Mereghetti “porta la sua carica di simpatia e poco più”.

Il punto però sta proprio nel sottolineare che il livello più alto della produzione cinematografica quest’anno l’ha raggiunto il tuttofare Baker tanto da conferire a lui e al suo film dal budget di 6 milioni di dollari (Follemente di Paolo Genovese, ad esempio, è costato 8,5 milioni di euro) una spianata di allori che le major hanno visto col cannocchiale. Se poi pensiamo che a tre Oscar è arrivato pure The Brutalist, altra produzione indipendente, qui poco sotto i dieci milioni di dollari di budget, con miglior fotografia, colonna sonora e nientemeno che Miglior Attore (Adrien Brody) le caselle migliori sono occupate dal cinema che vive a spizzichi e bocconi, che vede procrastinare inizi riprese, post produzioni e che soprattutto lavora con cifre minime, al limite del possibile.

Del resto nei giorni che hanno preceduto la cerimonia al Dolby Theatre sia il 53enne Baker che il 36enne Corbet hanno lamentato il fatto checon il cinema indipendente non si mangia, tanto che le entrate per campare sono arrivate dalla regia per entrambi di alcuni spot pubblicitari. Dall’altro lato in gara agli Oscar 2025 c’erano appunti i big player. Pensate solo che la Universal per Wicked (due Oscar minori) ha speso quasi 150 milioni di dollari o che la Warner per Dune 2 (altri due Oscar tecnici) è arrivata quasi a 200 milioni. Poi certo, per carità Wicked e Dune 2 si sono rifatti in sala doppiando i costi, ma per partire la grana fa fatta uscire dalle tasche di chi ce li ha.

Di questo avviso, cioè l’equazione spendo uguale vinco, era stata Netflix in quello che, nonostante le burlette alla Nanni Moretti in Il Sol dell’avvenire, era un’operazione non proprio dettata da un infallibile algoritmo. Allo scorso festival di Cannes, dove del resto aveva vinto una generosa Palma d’Oro proprio Anora, il gigante dello streaming si era assicurato i diritti di Emilia Perez pagando venti milioni di euro (le fatture di Anora e The Brutalist messe insieme). Dopodiché Netflix si era lanciato in una campagna promozionale tra la Hollywood che conta, e vota, da 40 milioni di dollari. Risultato? Qualche vecchio tweet razzista di Karla Sofia Gascon ha sotterrato il film arrivato col fiato lunghissimo agli Oscar vincendone due (su 13 nomination!) con la sensazione che se fossero passate altre due settimane non avrebbero vinto nemmeno quelle.

Insomma, che succede al di là dell’oceano? Certo, non siamo proprio ai tempi della New Hollywood anni settanta, dove lo statuto, la creatività e il paradigma dell’autore e dell’autorialità presero il sopravvento sull’industria hollywoodiana in crisi nerissima dovuta all’avvento della tv (Coppola, Scorsese, Spielberg, Friedkin, per accendere la lampadina). Ma il segnale che sembra mandare l’Academy è che forse prima di riversarsi tutti sullo streaming (ricordate le liti di Christopher Nolan e Denis Villeneuve con Warner durante il Covid?) i grandi investitori si vogliono giocare ancora qualche carta sulle sale fisiche dove proiettare gli ultimi mohicani del sogno commerciale e culturale di oltre cento anni fa.

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