Il dibattito sul latino a scuola è una specie di arma di distrazione di massa. Ogni tanto, il pensiero nostalgico-conservatore non avendo altri argomenti la sfodera gagliardamente per non affrontare i nodi del nostro sistema scolastico, a partire dalle risorse sempre tagliate. Mi chiedevo in cuor mio quanto avrebbe aspettato il ministro e prof. Valditara a tirarlo fuori dalla naftalina in cui era stato definitivamente riposto nel 1978, quasi cinquant’anni fa. La ripresa del latino è puntualmente arrivata, anche se per ora solo attraverso un’intervista su di un giornale amico.
Certo non sono più gli anni Sessanta, quelli della riforma della scuola media, che hanno visto discussioni infinite sul latino sì o no, con la sinistra collocata contro e la destra democristiana a favore. Il tema suscita ancora oggi delle notevoli vibrazioni e per questo affronto due questioni secondarie ma non minori, diciamo organizzative, che dimostrano quanto il ministro dell’Istruzione sia lontano dalla vita scolastica. Lascio ad altri le problematiche più succose sull’eterna utilità o meno del latinismo scolastico per la formazione della persona.
Se ho ben capito, intanto si tratterebbe dell’introduzione di un’ora di latino alla settimana, cioè di 33 ore annuali come nuova materia. Un innesto così modesto nel carico orario non è una buona idea. Il latino diventerebbe subito per gli studenti delle medie inferiori una materia cenerentola, un’attività didattica destinata a essere screditata come l’esperienza scolastica comune dimostra. Non credo che sia questa l’intenzione di Valditara, ma sicuramente sarebbe il risultato finale. Si poteva agire diversamente per salvare la lingua dei padri (e delle madri)? Certamente. Per esempio il ministro poteva finanziare il latino come attività aggiuntiva. Oggi le scuole propongono corsi di lingua straniera al pomeriggio per il potenziamento o per il recupero. Non sarebbe per nulla strano che venissero attivati anche dei corsi di latino pomeridiani, adeguatamente finanziati dal ministero. Ma sui soldi il ministro non ci sente.
Ancora più incompressibile però è il fatto che il ministro affermi di dare con le prossime linee guida la possibilità alle scuole di inserire questa materia come una nuova scelta opzionale. Forse Valditara non è al corrente del fatto che oggi le scuole, e già dal 1999, potrebbero introdurla. Infatti ogni istituto gode di una piena autonomia didattica, potendo modificare l’orario e anche il numero delle materie. Una scuola potrebbe legittimamente far spazio anche alla lingua norvegese se il collegio docenti e il consiglio di istituto ne intravvedessero l’opportunità. Quindi il ministro, come accade spesso ormai, si attribuisce un merito o una facoltà che semplicemente non ha per puro spirito propagandistico.
Più scaltra è stata a suo tempo la viceministra sportiva Vezzali che ha creato delle cattedre di educazione fisica ad hoc (22.500) per le scuole elementari. Insomma, ha dato spazio ai suoi laureati riducendo l’orario per le maestre. Valditara, se avesse avuto un briciolo di coraggio, avrebbe potuto seguire la stessa strada, ma avrebbe dovuto affrontare un dibattito pubblico spinoso e aprire i cordoni della borsa. Se oggi la lingua latina non è insegnata alle medie inferiori è per una scelta della comunità educante e nessun revisionismo ministeriale potrà cambiare questa situazione. Non è più, come riteneva il Partito Comunista negli anni Sessanta nelle sue proposte per la scuola media, uno strumento di discriminazione di classe, ma nemmeno il perno della formazione della persona come pensavano in casa della Dc.
La questione del latino è anche un po’ più ampia e mostra l’involuzione reazionaria della destra italiana. Un tempo la destra, quella berlusconiana della rinforma Moratti dei primi anni Duemila, viaggiava su altre coordinate, quella delle tre I: inglese, informatica e impresa. Visione certo ancora molto parziale e problematica, ma che aveva un qualche contenuto di modernità e di interesse. Diciamo che si andava, nolenti o volenti, verso il futuro globalista e tecnologico. Con il latino di Valditara non siamo tornati alla bellezza del mondo classico, come qualcuno ingenuamente pensa, ma piuttosto al mondo della arretratezza pastorale e pre-tecnologica. La distanza tra le due destre, con il misero collante della cultura dell’impresa, è quasi abissale.
Sulla scuola, come su molti altri punti, la destra meloniana è molto peggiore di quella berlusconiana, che a sua volta ci fa rimpiangere quella moderatamente progressista della prima repubblica. Una politica che cambiando peggiora sempre? Purtroppo pare di sì e non solo sulle politiche scolastiche. Ora che i nostri studenti delle medie per grazia ministeriale faticheranno sull’intramontabile rosa rosae è sicuro che faranno un passo avanti, ma nella direzione sbagliata. Tuttavia credo che anche questa volta il ministro prenderà una sonora sberla dalle famiglie e ben poche scuole aderiranno alla svolta passatista e bucolica del prof. Valditara. Se poi i dati mi smentiranno darò volentieri ragione, mio malgrado, al populismo latinista del prof. Valditara.
Ps. Avendo studiato latino alle medie e al liceo, sono molto affezionato a questa materia e non metto in dubbio il suo valore formativo. Ma anche nel caso del latino, est modus in rebus.