Nato a Castelvetrano nell’aprile del 1962, sull’ultimo superlatitante di Cosa nostra sono stati scritti centinaia di articoli, decine di libri, informative d’indagine lunghe migliaia e migliaia di pagine. Di un uomo che è scomparso crediamo di sapere tutto. E invece sappiamo poco. Molto poco. Sappiamo che quando diventa un fantasma ha da poco superato i trent’anni. È un giovane carismatico, alla moda, abituato a vivere nel lusso. È convinto di essere intelligentissimo. Nonostante lo scarso livello d’istruzione fa spesso sfoggio di una cultura variegata, da autodidatta: ai classici greci e latini somma autori sudamericani. Una sorta di gangster metropolitano, un padrino due punto zero lontanissimo dal prototipo di mafioso che siamo abituati a conoscere. Le giacche di velluto troppo larghe di Totò Riina? Messina Denaro veste solo capi di marca, spesso cuciti su misura. Bernardo Provenzano è stato preso mentre mangiava cicoria e ricotta in un covo di pastori, con la Bibbia come fedele compagna di latitanza? Matteo mangia caviale e non è neanche tanto religioso. I pizzini per comunicare coi fedelissimi? È molto probabile che uno come lui, appassionato di tecnologia e videogiochi sin dagli anni ’90, li abbia sostituiti con qualcosa di più moderno e sicuro. E poi, a differenza di tutti gli altri don, è un fimminaro: non è sposato, ha una figlia concepita fuori dal matrimonio e una carriera criminale costellata di tormentate relazioni sentimentali. Ancora oggi ci sono donne insospettabili, molto lontane dal suo mondo, che cercano di contattarlo perché ne subiscono il fascino. Del resto pure l’ultima lettera prima dell’inizio della latitanza è indirizzata a una donna: “Devo andare via, ma non posso spiegarti le ragioni della mia scelta. In questo momento le cose depongono contro di me, sto combattendo per una causa che non può essere capita. Ma un giorno si saprà chi stava dalla parte della ragione”. Un tono da rivoluzionario, anche se i mafiosi non hanno particolare simpatia per le rivoluzioni: al massimo coltivano piani eversivi. Questo gangster con la passione per le donne, infatti, non è solo l’ultimo latitante di Cosa nostra: è soprattutto l’unico boss rimasto in libertà che conosce i segreti delle stragi. Da Riina ai fratelli Graviano, passando per Leoluca Bagarella, Giovanni Brusca e poi anche Bernardo Provenzano, tutti gli uomini della piovra che hanno attraversato quel biennio di terrore sono finiti, in un modo o nell’altro, in gabbia. Tutti tranne uno: lui. Inafferrabile, imprendibile, a tratti persino evanescente, da quasi trent’anni a cercare a Messina Denaro sono investigatori di primissimo livello. La caccia terminata il 16 gennaio 2023 è stata portata avanti da un nuovo gruppo di poliziotti scelti, guidato dal capo dell’Anticrimine Francesco Messina, dai carabinieri del Ros di Pasquale Angelosanto, dalle squadre mobili di Palermo e Trapani, dai comandi provinciali dell’Arma. E poi i servizi segreti, che hanno fissato sulla sua testa una taglia da tre milioni di euro, la procura di Palermo e quella nazionale Antimafia. Indagini complesse, costrette a dribblare ogni giorno migliaia di segnalazioni spesso inviate da mitomani: c’è via via chi sostiene di averlo localizzato in Islanda e chi invece è sicuro di averlo visto nel parcheggio di fronte casa. Convinta di averlo trovato in un pub in Olanda era la procura di Trento: sembrava l’operazione perfetta, invece è stata una malafiura, una brutta figura come dicono in Sicilia. Quell’uomo ammanettato e incappucciato dall’Interpol mentre beveva in un locale de L’Aja, infatti, non era Matteo ma soltanto un turista inglese andato a vedere il gran premio di Formula Uno. Per l’ennesima volta non c’è stato niente da fare: Matteo non si trova. Come fa? Come ci riesce? Nell’epoca degli smartphone e della geolocalizzazione, del tracciamento quasi integrale della vita di ognuno di noi, come può uno degli uomini più ricercati al mondo continuare a rimanere invisibile? Secondo qualcuno perché ha un grande potere, quello del ricatto: era lui il “gioiello” di Riina ed è a lui che sono finiti i documenti che erano custoditi nell’ultimo covo dello zio Totò, quello che i carabinieri non sono andati a perquisire dopo l’arresto del capo dei capi. E poi c’è anche un altro motivo. “È protetto da una rete massonica”, sostiene Teresa Principato, ex procuratore aggiunto di Palermo che per otto anni ha dato la caccia al superboss.

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