Negli anni precedenti il suo arresto, attorno gli hanno fatto terra bruciata: gli hanno arrestato centinaia di fedelissimi, stringendo le manette pure ai polsi della sorella Patrizia e del fratello Salvatore. Poi hanno provato a bloccargli “la roba”, cioè i piccioli, i soldi, il bene supremo di ogni mafioso che si rispetti: solo negli ultimi dieci anni un conto veloce ci dice che i beni sequestrati, perché considerati riconducibili a Messina Denaro, valgono più di sette miliardi di euro, un forziere a nove zeri. Dentro c’è di tutto: dicono che fosse suo l’impero da un miliardo e mezzo di Vito Nicastri, un elettricista di Alcamo dai modi decisi diventato ricchissimo grazie alle pale eoliche. L’autorevole Financial Times era arrivato a definirlo il “re del vento” e invece quei soldi investiti nell’energia pulita erano sporchi. Erano di Matteo pure i supermercati Despar e una serie di cantine che producevano un vino premiato persino al Vinitaly. Il valore? Quasi 800 milioni. Di più, molto di più valeva Valtur, il colosso dei villaggi turistici e dei resort: quasi cinque miliardi finiti in mano a Carmelo Patti, un siciliano emigrato in Lomellina per fare l’operaio, arrivato a stringere la mano di Giovanni Agnelli. Anche quella, per gli investigatori, era tutta roba di Matteo. Questo Messina Denaro è un mafioso o un uomo d’affari? Un assassino o un businessman in grado di differenziare gli investimenti, in modo da avere sempre profitti per finanziare la sua latitanza?

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L’arresto di Messina Denaro è breaking news in tutto il mondo: “Catturato l’ultimo padrino”

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