È anche sulla base di questa lunga esperienza sul campo che Paci ha ricostruito l’origine della carriera criminale di Messina Denaro. Il magistrato ha portato avanti un’indagine che ordine in 40 anni di carte giudiziarie dimenticate. Il risultato è stato proiettare una luce diversa non solo sul fondamentale ruolo che Matteo ha avuto nelle stragi, ma anche sulle alte connessioni stabilite in anni remoti dai Messina Denaro nel complesso panorama criminale. Paci ha scoperto che già negli anni ’50 don Ciccio Messina Denaro si era legato ai Cuntrera e Caruana: addirittura un esponente del clan dei Siculiana fu testimone di nozze del padre di Matteo. Negli anni ’60 i Cuntrera e Caruana lasciano la provincia di Agrigento per emigrare in Canada e poi anche in Gran Bretagna e Venezuela: diventeranno in breve tempo tra i principali narcotrafficanti del mondo. Si calcola che l’80 per cento della droga prodotta in Colombia arrivasse negli Stati Uniti passando da Caracas: lì era la gente di Siculiana che la distrubuiva. Il picco, secondo la Dea, viene raggiunto nel 1983: 3 miliardi di narcodollari riciclati dai mafiosi agrigentini, che lavoravano coi cartelli colombiani, da Pablo Escobar a Calì. l legame tra il Venezuela e i Messina Denaro spunta fuori anche da altre vecchie carte dimenticate. C’è un pentito di mafia, uno di secondo piano, che si chiama Franco Safina: vent’anni fa raccontò che Messina Denaro aveva un tesoro in Venezuela, creato dopo aver investito cinque milioni di dollari in un’azienda di pollame. Cinque milioni per un’azienda di pollame non sono un po’ troppi? Era pollame o era cocaina? Di Venezuela parla pure Salvatore Grigoli, il killer di don Pino Puglisi: negli anni ’90 era rimasto ferito dopo un attentato ad Alcamo. Con lui c’era Matteo, che gli disse: “Se vuoi, per un certo periodo te ne vai in Venezuela e stai tranquillo”. Grigoli in Venezuela non andò mai. Messina Denaro chissà.

L’AMICO DI DELL’UTRI

Chi di sicuro è stato ospite dei Cuntera e Caruana è Filippo Alberto Rapisarda, un uomo appariscente che dal cuore della Sicilia era finito a Milano a guidare l’Inim, una società che era diventata il terzo gruppo immobiliare italiano. Ben vestito, simpatico e dai modi sanguigni, aveva fissato il suo quartier generale in via Chiaravalle, in un grande palazzo del Cinquecento a due passi dal Duomo: è lì, in quei novemila metri quadrati coi soffitti affrescati, che anni dopo sarà fondato il primo club di Forza Italia. Quando era all’apice del successo, infatti, per Rapisarda era andato a lavorare un altro giovane siciliano trapiantato a Milano: si chiama Marcello Dell’Utri e nel campo immobiliare aveva già lavorato, come stretto collaboratori di Silvio Berlusconi all’Edilnord.

L’esperienza del terzo gruppo immobiliare italiano, però, va male: le società fanno crac e per Rapisarda viene emesso un mandato di cattura per bancarotta fraudolenta. Il siciliano fugge, lascia Milano e l’Italia e per sette anni si butta latitante. Prima va a Parigi, poi in Venezuela dove è ospite dei Cuntrera e Caruana. Quelli sono anni in cui Caracas e Castelvetrano sembrano vicinissime. Rapisarda, infatti, tenterà di realizzare una speculazione immobiliare dalle parti di Selinunte, vicino ai ruderi dell’antica città greca. Come era già era avvenuto nella vicenda dell’Inim, anche nell’affare di Selinunte il socio di Rapisarda è Francesco Paolo Alamia, un ingegnere magrissimo con amicizie importanti: era un uomo di Vito Ciancimino, l’ex sindaco mafioso di Palermo, la mente del “sacco” che distrusse il centro della città per realizzare una delle più imponenti speculazioni edilizie della storia italiana. Legatissimo a don Vito, Alamia avrà anche rapporti con Messina Denaro. Una circostanza emersa solo pochi anni fa, poco prima della morte dell’ingegnere. Dopo aver dribblato quarant’anni d’inchieste giudiziarie, infatti, Alamia fu sospettato di aver ordinato l’omicidio di un suo socio, Antonio Maiorana, scomparso nel nulla insieme al figlio nel 2007. Quella vicenda turberà non poco le acque dentro Cosa nostra: Salvatore Lo Piccolo, che all’epoca era il capo incontrastato di Palermo, ordinerà addirittura un’indagine interna alla mafia per capire chi avesse osato macchiarsi di quel duplice delitto senza il suo consenso. Chiederà spiegazioni persino a Messina Denaro, convocato nella sua villa alle porte di Palermo per un summit. Quella riunione non si terrà mai: nella stessa giornata, infatti, Lo Piccolo viene arrestato dopo una latitanza lunga un quarto di secolo. Matteo, invece, riesce a salvarsi ancora una volta.

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