Di “Docenti del “Presidio primaverile per una Scuola a scuola” (Liceo Leonardo da Vinci, Casalecchio di Reno) e Sara Gandini (epidemiologa, Istituto Europeo di Oncologia), Maria Rita Gismondo (virologa, Università statale di Milano), Matteo Bassetti (infettivologo, Università di Genova), Alberto Pellai (psicoterapeuta e igienista, Università statale di Milano), Maria Luisa Iannuzzo (medico legale, ASST Verona), Daniele Novara (pedagogista, Centro PsicoPedagogico di Piacenza), Adriano Prosperi (storico, Scuola Superiore Normale di Pisa)

Dunque non avevamo capito.

L’anno scolastico è cominciato senza mascherina, ma è cominciato anche con la mascherina per un numero via via crescente di classi. Le immagini e le notizie che, pur ignorate dai media, giungono da un mese a questa parte sono stupefacenti.

Quando a fine agosto il governo dimissionario decise di abolire l’obbligo nelle scuole, avevamo creduto fosse il segno di una ritrovata intelligenza pedagogica, di una riflessione culturale capace di lasciarsi alle spalle la prassi meramente tecnica dei bollettini, delle curve e delle zone colorate da applicarsi alla scuola allo stesso modo, o anzi peggio che a bar, ristoranti e centri commerciali. Avevamo creduto che si fosse ormai preso atto che la scuola è vita e salute, perché terreno di socializzazione e fattore protettivo fondamentale rispetto a blocchi evolutivi e devianze, ma che non può esserci scuola, cioè vita, in assenza di volto (così come non può esserci scuola “a distanza” – ma questo, per fortuna, lo si era già compreso).

E invece no. Non di ciò si trattava, ma di una decisione confusa, con cui si annunciava all’opinione pubblica il “fine-mascherine-a-scuola” senza avere il coraggio di rivendicarlo appieno. Come giudicare altrimenti la contestuale conservazione della circolare del ministero della Salute 30.3.2022 n. 19680, la cui vigenza comporta una generalizzata autosorveglianza con mascherina FFP2 per 10 giorni nelle classi dove vi sia anche un solo positivo? E come giudicare la nota del Miur del 28 agosto scorso, in cui si dichiarano ammissibili in aula tutti coloro che abbiano sintomi respiratori (“in quanto nei bambini la sola rinorrea – raffreddore – è condizione frequente e non può essere sempre motivo di non frequenza o allontanamento dalla scuola in assenza di febbre”) ma a patto che indossino mascherina chirurgica/FFP2?

Facile immaginare che in classi di 25-30 alunni, e con varianti Covid sempre più contagiose per la tendenza del virus a endemizzarsi, saranno rare le settimane invernali in cui non ci sarà almeno un alunno per classe positivo. Non parliamo poi di starnuti e muco dal naso fra i bambini della primaria.

La contraddizione tra il proclama di inizio settembre e le sopravvivenze normative illustrate sta già producendo oggi almeno due conseguenze, l’una aberrante, l’altra paradossale:

1) mentre sui mezzi pubblici non c’è più alcun obbligo, così come ovunque a eccezione che nelle strutture sanitarie, ci sono bambini e adolescenti a scuola (ma la scuola è forse un ospedale?) a cui per 5-8 ore consecutive è impedito sorridere ai compagni e conoscere le espressioni facciali dei propri insegnanti;

2) negli istituti superiori, dove l’età rende chi ha attraversato i due anni e mezzo di pandemia sufficientemente esperto e furbo, all’insorgere di sintomi compatibili sono molti coloro che non si sottopongono più a tampone, ma se ne stanno a casa in malattia “ordinaria”, anche per non rischiare di condannare i compagni a quelle pene purgatoriali che in buona fede si pensavano estinte.

Siamo evidentemente di fronte a pasticci, a rimedio dei quali chiediamo al governo dimissionario di voler intervenire in extremis. Affideremo altrimenti le nostre speranze al nuovo governo, continuando a vigilare in difesa di un mondo non-adulto che ha tutto il diritto non essere ulteriormente, e inutilmente, vessato.

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