“Oggi si celebra la Giornata mondiale degli insegnanti che si tiene ogni 5 ottobre dal 1994”, ho detto ai ragazzi, entrando in classe, questa mattina. Cerco di aggiornarli su quel che accade e si festeggia. Sulle ricorrenze, generalmente. Ho pensato di farlo anche in questa circostanza. Provando a spiegare le motivazioni della celebrazione, voluta da Education International, Unesco, Organizzazione internazionale del lavoro e Unicef. Una giornata dedicata all’insegnante. A metterne in evidenza il lavoro. Invitando i governi a investire nella professione, sensibilizzando l’opinione pubblica. A fidarsi e rispettare i docenti.

Già perché il tema della giornata mondiale degli insegnanti del 2022 è “La leadership degli insegnanti nella trasformazione dell’istruzione”. Un titolo che riempie il cuore e rassicura. Forse. “Nella giornata mondiale degli Insegnanti voglio ringraziare tutti i nostri docenti, che, in quest’epoca digitale, sono sempre di più persone di riferimento per i nostri ragazzi. I docenti non solo diffondono il sapere e la conoscenza: aiutano le nostre studentesse e i nostri studenti a crescere liberi e responsabili. #WorldTeachersDay“, ho proseguito, leggendo una dichiarazione del ministro dell’istruzione Patrizio Bianchi.

Subito dopo ho provato ad animare una discussione. Cercando di suggerire qualche considerazione. Un qualsiasi pensiero sul tema. Verificato che nessuno aveva voglia di intervenire, ho preso il libro di Letteratura ed ho iniziato la lezione. Con una buona dose di tristezza, per il tentativo fallito. Mentre spiegavo il Cantico delle Creature di san Francesco, cercando di coinvolgerli, ho pensato. A quel che avevo detto ai ragazzi. E poi ho ripensato alle parole del ministro e al tema della Giornata, “la leadership degli insegnanti”. Lo confesso, mi sono sentito solo. E davvero molto poco, “persona di riferimento”. Naturalmente è più che probabile che sia una questione soggettiva.

E anagrafica. Insomma che la circostanza di sentirmi una guida incerta dipenda dalle mie richieste scolastiche, eccessive. Poco adeguate ai parametri attuali. E che alla mia crescente sensazione di impotenza e frustrazione contribuisca l’età. Ad un ultracinquantenne alcune modalità, anche comportamentali, utilizzate dai ragazzi e accettate da molti colleghi e dirigenti, appaiono insopportabili. Ma non per una questione personale. Piuttosto perché le ritengo sbagliate per i ragazzi, prima di tutto. Per essere un riferimento è necessario essere autorevoli. Essendo garantiti, nelle proprie mansioni.

Ad esempio che il proprio giudizio, finale, sul percorso di una alunna oppure di un alunno abbia un peso. Un “4” non può trasformarsi, se non eccezionalmente e con fondati motivazioni, in un “6”, quasi d’ufficio. In caso contrario, l’insegnante viene delegittimato. Privato di ogni credibilità. Non più arbitro, con potere decisionale, ma spettatore. Per insegnare la libertà e la responsabilità sarebbe necessario che la scuola la smettesse di guardarsi intorno e riiniziasse a riflettere su sé stessa. Piuttosto che essere un po’ di tutto, ritornasse ad occuparsi dei fondamentali. Che continuano a fare la differenza, nonostante tutto. Saper pensare e riuscire a scrivere un buon tema nel quale i verbi siano coniugati a dovere e la punteggiatura utilizzata correttamente.

Allenare la logica in modo che nessun problema risulti insolubile. Conoscere almeno le province dello Stato del quale si è cittadini. Avere una qualche consapevolezza del paesaggio nel quale ci si muove. Leggere e informarsi. Accettare le regole del vivere civile, in comunità. Questo aiuta a formare persone libere e responsabili. Avere questi obiettivi per i ragazzi, rimette l’insegnante al centro del progetto educativo. Gli restituisce un ruolo che non ha più, in troppi casi. Il ministro Bianchi ha ragione, ma solo in parte. Gli insegnanti non possono essere solo dispensatori di sapere e conoscenza. Ma nemmeno abbandonare questo ruolo.

Perché la crescita auspicata passa anche dal sapere e dalla conoscenza. Naturalmente trasmesse con i corretti accorgimenti e le necessarie prescrizioni. Evitando di trasformarsi in tutorial. In facilitatori di ogni difficoltà. La figura dell’insegnante non deve incutere timore, ovviamente. Ma neppure svilirsi in quella di un insulso intrattenitore. Perché se si verifica questo caso a soccombere non è soltanto il docente, ma anche la classe. Insomma i ragazzi. Le celebrazioni non mi piacciono quando risultano vuote. La festa di un giorno in un mare di nulla. Costruito da decenni di politiche sbagliate. Di riforme scriteriate. Per questo dietro la lavagna ho scritto “Evviva gli insegnanti. Abbasso la scuola”. L’ho scritto, in nome della libertà e della responsabilità. Alla fine delle lezioni, quando i ragazzi erano usciti.

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